- Titolo: Madonna col Bambino in trono, i santi Ilario e Giovanni Battista, angeli musici e cantori, Dio Padre Benedicente
- Autore: Cristoforo Caselli, detto dei Temperelli
- Data: 1499
- Tecnica: Olio e tempera su tavola
- Dimensioni: 325 x 211
- Provenienza: Parma, Duomo (cappella del Consorzio dei Vivi e dei Morti); Sala delle Adunanze della congregazione; in Galleria dall’agosto 1893
- Inventario: GN A
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Arte a Parma 1300-1400
Il Caselli si colloca quale artista di punta in quel manipolo di maestri, come Bernardino e Jacopo Loschi, Filippo Mazzola, Alessandro Araldi e Francesco Marmitta, che dominano la scena parmense fra ’400 e ’500. Nulla si sa del suo probabile apprendistato locale e i primi documenti esistenti lo attestano, nel 1488, già presente a Venezia dove unitamente a Giovanni Bellini, Alvise Vivarini, Francesco Bissolo, Lattanzio da Rimini e Vincenzo da Treviso è impegnato nella decorazione della Sala del Maggior Consiglio nel Palazzo Ducale i cui lavori proseguono fino al 1492 e 1495, contrassegnando il periodo di grande prosperità economica vissuto dalla città lagunare negli anni ottanta.
L’impresa è andata distrutta nell’incendio del 1577. La familiarità con i Bellini è dimostrata anche dal fatto che il 30 giugno 1489 assiste insieme a Gentile al testamento della moglie di Giovanni Mansueti (Lucco 1990, p. 454): una frequentazione sufficientemente assidua che permette di ipotizzare dialoghi proficui sulla pittura, preziose annotazioni, appunti e trascrizioni che saranno utilissimi al Caselli al suo rientro nella città d’origine.
La sua più antica opera giunta fino a noi reca la firma e la data 1495. Si tratta del trittico dipinto per la chiesa di San Cipriano a Murano, ora nel Seminario patriarcale di Venezia. In essa sono già presenti i tratti predominanti nella sua pittura di assoluta ascendenza veneta: dal paesaggio, al ricco e prezioso paludamento dei santi, alla tavolozza e al disegno cristallino che gli meriteranno un anticipato riconoscimento del contemporaneo F.M. Grapaldo, che, nel suo De partibus aedium edito nel 1496, nonostante a Parma non fossero presenti opere dell’artista di datazione così precoce, esorta a porre sugli altari quadri del Caselli e del Marmitta imponendo una precisa scelta di gusto (Zanichelli 1994a, pp. 20, 33).
Anche il Ricci lo considera “il migliore dei pittori fioriti prima della venuta del Correggio”. Il suo itinerario pittorico si consuma fra Venezia e Parma dove fa ritorno, probabilmente, per corrispondere alle prestigiose committenze che gli provenivano dal Duomo e dalla chiesa di San Giovanni Evangelista, soddisfatte entrambe nel 1499. Pur risalendo infatti al 10 marzo 1496, la sottoscrizione del contratto con il Consorzio dei Vivi e dei Morti, di antichissima istituzione (Allodi 1854-1856, pp. 199, 576-578; Schiavi 1940, II, pp. 311-314; Marchi 1992, p. 40) con rogito di Francesco Pelosi, la realizzazione di questa grande pala centinata da collocare in Duomo, nella prima cappella a sinistra di pertinenza del Consorzio, pagata cinquantacinque ducati d’oro, viene firmata e datata tre anni dopo l’affidamento, quando l’artista, pressoché quarantenne, anche se non si ha certezza della data di nascita, è ormai un maestro affermato ed elogiato, pienamente consapevole dei propri mezzi espressivi. Viene utile e capita raramente di poter paragonare opere contemporanee, come in questo caso la pala della terza cappella a destra in San Giovanni con l’Adorazione dei Magi, dove snoda un racconto affollatissimo di personaggi che discendono fra balze collinari e anse fluviali in un corteo interminabile, che si arresta con i suoi preziosi doni davanti alla Vergine, in cui i modi belliniani e di Carpaccio incidono sostanzialmente; la Natività di Castell’Arquato, all’incirca degli stessi anni, che unisce elementi veneto-ferraresi (paesaggio e rovine) e impressioni dal Costa e dal Francia e dove architetta, come un abile falegname, una cappella a incastri di travi e tettucci (Ceschi Lavagetto 1994, pp. 26-27).
Di diversa solennità appare la pala per i Consorziali, la cui messa in scena è accuratamente gestita in una cappella squadrata racchiusa da triplice arco e aperta al cielo da cui plana il Padre Eterno benedicente contornato da testine d’angeli che interrompono la luce chiara. Una rappresentazione volutamente spirituale di contro all’affollato palcoscenico dove una schiera di angeli musici e cantori glorificano la Vergine assisa sull’alto trono mistilineo che permette una precisa visione frontale, mentre Sant’Ilario e San Giovanni Battista, leggermente avanzati e di sbieco, articolano la sostanziale simmetria del sistema costruttivo. Il quadro osservato nei dettagli rivela spontaneità e preziosismi nella teoria delle gambe dei putti nel registro alto, nelle acconciature, nelle combinazioni cromatiche abbinate ai ricchi corsetti in damasco, nel tappeto con efflorescenze a carciofo, nel baldacchino serico, nel piviale e nella mitria del vescovo che si presenta con i caratteri di un ritratto.
Un movimento cadenzato, un’armonia di voci e di gesti che include il fare di Bartolomeo Montagna, soprattutto della pala del Museo Civico a Vicenza (1485-1487) a sua volta portatrice di elementi alvisiani e belliniani (Puppi 1962a, p. 136). Nella Madonna, come racchiusa in un bozzolo e privata di qualsiasi effetto di eminentia (Battisti 1985, p. 37; Trutty Coohil 1982, pp. 5-7) così frequentemente adottato da Antonello, il perfetto ovale del volto e lo sguardo diretto che sovrasta gli astanti si inseriscono nella linea tracciata dal messinese, soprattutto nel frammento della pala di San Cassiano ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Nell’arredo del trono, nel drappo rosso gettato come da un abile scenografo sulla catena, viene spontaneo il riferimento alla dilatata pala Barbarigo in San Pietro Martire a Murano (1488) di Giovanni Bellini dove si propone il Bambino in piedi come nel trittico della sagrestia dei Frari (1488) che il Caselli reinterpreta in un gioioso istantaneo movimento, ma anche il richiamo al dipinto di Bartolomeo Montagna nel Museo della Certosa di Pavia con la Madonna e i santi Giovanni e Gerolamo (1490) che divulga gli schemi belliniani cui attinge, con convinta pervicace fidelitas, l’artista parmense.