Fra quattro angeli e i santi Caterina d’Alessandria, Giovanni Battista, Francesco d’Assisi, una santa martire, ed Eva con il serpente; nella cuspide, Cristo crocifisso fra la Madonna e san Giovanni dolenti

Al centro della tavola è rappresentata, di proporzioni maggiori rispetto alle altre figure, la Madonna seduta su un trono ricoperto da un sontuoso drappo, con in grembo il Bambino che tiene nella mano destra un uccellino. Ai lati, nel registro superiore sono quattro angeli e in quello inferiore quattro santi: a sinistra Santa Caterina d’Alessandria, riconoscibile per i frammenti lignei della ruota con cui fu martirizzata posti ai suoi piedi, e San Giovanni Battista, a destra San Francesco e una santa martire, probabilmente una regina, a giudicare dalla ricchezza della veste e dall’ermellino che si intravede nel risvolto del mantello che regge con la mano sinistra (potrebbe trattarsi di Santa Margherita di Antiochia). Ai piedi del trono è la figura semisdraiata di Eva che rivolge al serpente, dalla testa di donna, parole per allontanarlo. Nella cuspide è raffigurato Cristo crocifisso tra i due dolenti.
Il dipinto era stato racchiuso entro una cornice con l’arco acuto sostenuto da capitelli ornati con foglie d’acanto impostati su sottili colonnine, rimossa durante il restauro in occasione della mostra del 1948.

Che l’opera provenga dalla collezione Tacoli Canacci, come supponeva il Quintavalle, sembra improbabile, in quanto non è citata nel dettagliato Catalogo della raccolta del marchese stilato fra il 1790 e il 1792 e offerto a Carlo IV di Spagna; è più plausibile che, secondo quanto propongono la Meloni Trkulja (1971) e lo Zeri (1976), il dipinto sia stato trasferito da Lucca a Parma nell’800 dai Borbone.

Dal Guardamobili ducale del Palazzo di Residenza di Colorno la tavola passò alla Galleria parmense nel 1865.

Indicata genericamente nei vecchi cataloghi del museo come opera di “scuola toscana antica” (Martini 1875; Pigorini 1887), fu ritenuta dal van Marle un prodotto della scuola di Bernardo Daddi, con qualche influenza senese; il Sorrentino (1931) la citò come lavoro di Spinello Aretino; il Berenson (1932) la riferì dubitativamente alla fase iniziale di Martino di Bartolomeo. Su suggerimento dell’Offner, il Procacci (1932) attribuì convincentemente il dipinto a Giuliano di Simone, sulla base di evidenti affinità stilistiche con la sua unica opera certa, la Madonna col Bambino della chiesa di San Michele a Castiglione in Garfagnana, firmata dall’artista lucchese e datata 1389. La critica successiva ha accettato l’assegnazione della tavola di Parma a questo interessante pittore, la cui attività, per quanto si desume dalle opere finora conosciute, si svolse essenzialmente a Lucca e dintorni. L’artista è infatti documentato in questa città fra il 1383 – anno in cui, con il consenso del padre Simone Ricci, stringe un sodalizio artistico con i fiorentini Giovanni di Dino e Vanni del fu Giovanni e al lucchese Andrea di Puccino – e il 1397, quando, insieme al fratello Alessio con il quale già lavorava dalla fine degli anni ottanta, costituisce una società di pittura con il senese Benedetto di Giovanni (Concioni-Ferri-Ghilarducci 1994, pp. 329-330).

Il González Palacios (1971a) individuava nella produzione di Giuliano di Simone, a partire dall’anconetta parmense, innegabili suggestioni da Spinello Aretino, e in particolare dalla Madonna di San Pancrazio a Lucca, le cui “forme tondeggianti e non prive di forza (…) tendono ad indebolirsi nel lucchese in una grafia elegante ma convenzionale”, nonché dal concittadino Angelo Puccinelli, che costituisce probabilmente per l’artista il tramite dei raffinati caratteri senesi diffusi in ambito lucchese, soprattutto di Niccolò di Ser Sozzo, come suggeriva la Meloni Trkulja. La studiosa ritiene la tavola di Parma e quella molto simile del Louvre (pubblicata dall’Ardinghi 1965, e poi dal González Palacios, che ne riconobbe la parte apicale nella Crocifissione della collezione Leegenhoek a Parigi) le opere più antiche di Giuliano. La conoscenza del pittore è stata ulteriormente arricchita grazie ai contributi del Boskovits (1975) e del Ferretti (1976, pp. 31, 39-40, nota 25), che, individuando suggestioni fiorentine nella sua produzione, ne ipotizza la formazione nell’ambiente pistoiese di Giovanni di Bartolomeo Cristiani.

Secondo il Caleca (in La pittura… 1986, I, pp. 258-259) la cultura di Giuliano, fondata essenzialmente sulla conoscenza di Spinello, è aperta anche “alle differenziate gradazioni degli stilemi tardo-orcagneschi in auge allora a Firenze, non escluso qualche rimando agli esiti ‘preziosi’ di Lorenzo Monaco”, come appare nei due polittici del Museo di Villa Guinigi a Lucca, provenienti uno dallo Spedale di San Luca di quella città, l’altro ricomposto con le tavole di Moriano Castello e di Bargecchia di Massarosa (Lucca), che costituiscono “due esempi significativi della sottile vena di prezioso decantatore di accordi cromatici, su fondi oro fittamente cesellati, tipica di Giuliano di Simone” (Caleca, in Il secolo… 1981, pp. 203-204).

Il Procacci notava come la composizione, “così poco chiara nel sovrapporsi delle due scene e con la strana figura di Eva giacente”, non sia “di tipo fiorentino”, ma sembri avere il “carattere di un maestro provinciale”. Il motivo iconografico di Eva con il serpente ai piedi del trono della Madonna è squisitamente senese e deriva dall’affresco di Ambrogio Lorenzetti nella cappella di Montesiepi presso l’abbazia di San Galgano (Chiusdino) vicino a Siena; il pittore lucchese Angelo Puccinelli lo utilizzò nel suo altarolo oggi al Lindenau Museum di Altenburg, da cui Giuliano di Simone probabilmente trasse spunto anche per alcune figure di santi dell’anconetta di Parma (González Palacios). Queste, elegantemente costruite nel raffinato allungamento gotico e avvolte in vesti preziose, affollano la scena principale disponendosi su vari piani intorno al trono.

La presenza nel dipinto di tali caratteri di finezza formale, nella gamma di colori tenera e preziosa, nella ricchezza dei particolari decorativi, nell’andamento calligrafico della linea, ne fa un’opera già matura nel percorso dell’artista, di poco precedente alla Madonna di Castiglione in Garfagnana (1389).

Scheda di Monica Folchi tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere dall’Antico al Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1997.