- Titolo: Madonna col Bambino fra i santi Giovanni Battista e Giacomo
- Autore: Simone de'Crocifissi
- Data: prima metà del ’300
- Tecnica: Tempera e oro su tavola
- Dimensioni: 46 x 47
- Provenienza: Ignota; inventariato nel 1887
- Inventario: GN427; GN433
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Dal Medioevo a Leonardo Ala Ovest
Nelle ante laterali, a sinistra, Santo con libro (Giovanni Evangelista?) e san Biagio; a destra, Sant’Orsola e san Luigi IX.
Come quello di Paolo Veneziano (vedi scheda n. 51) il trittichetto è un esemplare di una tipologia di larga diffusione nel ’300, quella degli altaroli portatili. Molte figure di santi alludono anche qui al tema del viaggio e alla necessità di protezione per chi affronta lunghi percorsi. Come spesso accade, al Battista (titolare di ospitali per pellegrini e invocato lungo le strade di collegamento del Medioevo) è qui accostato San Giacomo (riconoscibile dal sottile bastone da pellegrinaggio, già identificato con la spada di san Paolo).
San Biagio, vescovo venerato quale protettore contro le malattie, era anche lui viaggiatore e titolare di chiese e oratori lungo i principali itinerari trecenteschi.
Il probabile Evangelista può alludere al vangelo della “parola” e alla sua diffusione. L’altro sportello contrappone alle due figure “religiose” due santi legati al potere civile, alla “regalità” usata con virtù. In alto Sant’Orsola, viaggiatrice e ambasciatrice della verità, è forse anche allusiva a personaggi regali più vicini nel tempo, come Elisabetta d’Ungheria.
L’accostamento è suggestivo visto che nella stessa antina compare Luigi IX, con corona e scettro gigliato: il santo re di Francia è spesso presente nel ’300, proprio accanto a Elisabetta e a Ludovico da Tolosa, in opere legate agli Ordini mendicanti: agli inizi del XIV secolo era stato con loro protagonista di opere di Giotto e di Simone Martini ad Assisi, la chiesa principale dei francescani.
L’opera di Parma, sempre riferita a Simone e in genere assegnata alla sua tarda maturità, è espressione di quel momento di passaggio che vede l’artista confrontarsi ancora con le suggestioni giovanili del maestro Vitale e insieme aprirsi ai nuovi modelli della seconda metà del secolo, in rapporto con Cristoforo – con il quale le sue opere sono state spesso confuse in passato – e con le prime avvisaglie del tardogotico; queste avrebbero portato all’esperienza petroniana, cui lo stesso Simone partecipò accanto all’ormai celebre nipote Lippo e agli altri maestri emergenti, nell’ultimo decennio della sua vita. Ai tardi anni settanta o ai primi del decennio successivo potrebbe assegnarsi la nostra tavoletta, anche se le ambiguità espressive e stilistiche riconosciute nell’intero percorso dell’artista rendono difficile stabilire punti fermi (Ferretti).
Nel complesso storico della Bologna del secondo ’300 che (dopo il dominio visconteo, la legazione albornoziana, le lotte e leghe antipapali) riconquista nel 1376 la sua autonomia, l’opera di Simone – impegnato, dopo il 1380, nella vita politica cittadina – non manca di suggestivi richiami alle vicende contemporanee. L’allusiva presenza di san Luigi a Parma – come nel tardo polittico della Pinacoteca di Bologna, assegnato all’epoca petroniana del maestro – potrebbe suggerire tali contatti. Luigi era stato re e crociato; era stato prigioniero e poi liberato (come san Biagio). Aveva attraversato l’Oriente, ed era stato espressione di quei regnanti di Francia collegati dalla storia alla casata angioina (di cui faceva parte Ludovico da Tolosa). Sia pur invisa al tempo di Bertrand du Puget, questa si era distinta spesso nella protezione delle libertà dei Comuni contro l’Impero. Una sottile allusione alla conquistata autonomia bolognese, più che un rapporto con i francescani, potrebbe dare un significato anche “politico” alla presenza del santo in un momento tormentato e insieme rinnovatore dell’esperienza cittadina? Simone, si ricordi, era cognato di quel Dalmasio che (come poi il figlio Lippo) aveva lavorato anche a Firenze, città sempre al centro delle leghe antipapali di quel periodo.
Possiamo riconoscere legami fra Simone e il suo tempo anche in peculiari caratteri della sua opera. Nella Sant’Elena su tela della Pinacoteca bolognese, riferita agli anni settanta, ad esempio, sembra di risentire quelle suggestioni di derivazione iberica che certo dovettero attraversare Bologna negli anni dell’Albornoz e del Collegio di Spagna. I tanti legami stilistici e tecnici riconosciuti fra la pittura emiliana e quella catalana della prima metà del ’300 (si veda un pittore come Ferrer Bassa) potrebbero aiutare nel riconoscimento di scambi poco noti anche nel complesso momento pieno di fermenti della seconda metà del secolo.