“La semplicità, e, quasi direbbesi, l’innocenza del fare di questa pittura (a tempera, su cui fu dato sconciamente olio) sarebbero per dimostrarla opera giovanile”, così Martini intende come originale questa maldestra copia cercando, senza riuscirci, di giustificare la discrepanza tecnica (l’originale infatti è a tempera, questo è senz’altro un olio).

Completamente ribaltato, ma con esso ci troviamo d’accordo, il giudizio di Ricci che la considera “copia torbida e grossolana”: il confronto infatti con l’opera autentica (proveniente dalla collezione Farnese e oggi conservata nel Museo di Capodimonte a Napoli, inv. Q110) rivela una piatta fedeltà tradotta in stesure compatte nei primi piani, che diventa imprecisione e vaghezza specie sui fondi e sui dettagli (spariscono il luminescente paesaggio sul fondo, l’anello della Vergine…). La presenza a Parma dell’originale fra il 1662 e il 1734 suggerisce di considerare questi come termini cronologici entro i quali situare la nostra copia, confermati da un trattamento dei fondi e degli incarnati di sapore seicentesco.

Scheda di Luisa Viola da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.