La vicenda attributiva di questa tela è abbastanza singolare: nell’inventario della collezione Dalla Rosa-Prati donde proviene (1851) è assegnata al Cavalier d’Arpino, dal Martini (1875) viene declassata a “scuola parmense”, e dal Ricci (1896) viene riferita genericamente ad “Anonimo”.

Per primo il Quintavalle (1939) ha pronunciato il nome di Alessandro Mazzola, e come tale è stato successivamente riproposto, in mostra
a Parma nel 1968. Ma il dipinto “parla bolognese”, come ha ben intuito Philip Pouncey, che lo ritiene giustamente di Orazio Samacchini (com. or., 1973); la conferma viene da un confronto con un disegno degli Uffizi (inv. 645F), già sotto il nome del Vasari, ma certamente studio preparatorio per la nostra tela (Di Giampaolo 1974a, p. 61, fig. 2); molte sono le varianti dal disegno al dipinto: il paesaggio nello sfondo a sinistra, e la tenda che avvolge anche le colonne laterali (un’aggiunta posteriore, come si è potuto constatare durante l’operazione di restauro), quasi una “quinta” che introduce la scena sacra. Il dipinto collima con le opere “in piccolo” del maestro bolognese, la cui attività, studiata nel saggio monografico del Winckelmann (1986b), attende più fondate certezze; un riferimento alla Sacra famiglia con i santi Caterina e Giovannino della Pinacoteca di Cremona (Puerari 1951, p. 157) è più che convincente. Una datazione dopo la metà del ’500 ci sembra la più probabile.

Scheda di Mario Di Giampaolo tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.