- Titolo: Madonna col Bambino e i santi Cosma e Damiano
- Autore: Giovan Battista Tinti
- Data: 1594
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 221 x 138
- Provenienza: Parma, distrutto oratorio dei Santi Cosma e Damiano; deposito del Duomo
- Inventario: SN
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Fra i dipinti di Giovan Battista Tinti questo è l’unico a recarne la firma, sul fianco della cassa su cui è disteso il giovane che i due santi si accingono a operare.
Come riferiscono gli eruditi locali del XVIII e XIX secolo, venne eseguito per l’oratorio dei Santi Cosma e Damiano “a prezzo di scudi 50 da L. 7.4 nell’anno 1594”, quale gonfalone della confraternita a carattere ospedaliero insediata nell’oratorio stesso, ove il dipinto fungeva anche da pala d’altare. Dopo la soppressione della compagnia e il passaggio dei suoi beni alla Congregazione di Carità nel 1913, l’edificio fu venduto a privati e demolito (Da Mareto 1978, p. 55), mentre il dipinto dovette essere trasferito in Cattedrale; ignorato per lungo tempo, venne qui rinvenuto in un ripostiglio sui matronei, restaurato e reso noto da Quintavalle nell’ambito della mostra del 1948, probabilmente a seguito della quale rimase in deposito presso la Galleria Nazionale.
Chiamato ancora una volta a rispondere a una commissione di confraternita, Tinti dipinge un’opera di forte valenza devozionale, in cui semplicità compositiva e “brani di lucido naturalismo” (Fornari Schianchi s.d. [ma 1983]) concorrono a esprimere la nuova spiritualità post tridentina. L’impaginazione piramidale e il gruppo divino su nubi nella parte alta della tela si rifanno al modello raffaellesco, pur sempre attraverso la mediazione dei bolognesi, dal Ramenghi ai consueti Samacchini e Sabatini, e forse anche (Feroldi) con tangenze al Cesi della pala di San Giacomo, lavoro peraltro di controversa cronologia (rimandi a Raffaello avevano già caratterizzato l’Assunta con santi, dipinta dal Tinti nel 1589 per un altare del transetto sinistro della Cattedrale). Emergerebbero poi altri riferimenti, nella Madonna all’Anselmi della pala già in Santo Stefano a Parma e ora al Louvre (Godi, Feroldi), nell’angelo a sinistra a una figura della Deposizione del Malosso in Sant’Agostino a Cremona (Godi).
Un gusto più narrativo e una diversa connotazione formale improntano la zona inferiore del dipinto ove sono raffigurati i due santi, ritratti con evidente intento didascalico nell’atto stesso di esercitare la propria missione medica: Cosma e Damiano, gemelli di origine araba vissuti nel III secolo, svolsero infatti ampia azione di proselitismo presso i pagani praticando gratuitamente la medicina e più precisamente verrebbe qui rappresentato il miracoloso episodio narrato da Jacopo da Varagine, secondo cui i due santi dopo la morte sarebbero apparsi in sogno “con unguenti e un coltello in mano” al custode della chiesa romana loro dedicata e lo avrebbero salvato da morte certa, amputandogli una gamba in cancrena e sostituendola con quella di etiope da poco deceduto (lettura questa recentemente proposta da Buonamassa Stigliani, che vede nell’opera il momento immediatamente precedente l’operazione). Consequenzialmente la scena si caratterizza per un voluto effetto di accostamento al reale nella resa dei volti, soprattutto quello di san Cosma (a sinistra) di sapore quasi ritrattistico, come delle mani nodose dei santi o del corpo riverso del giovane, particolari tutti sottolineati da un gioco di luce ben definito: traspaiono in questi brani le nuove istanze naturalistiche dei Campi e più in generale della pittura cremonese, con i cui esponenti da tempo Parma e il suo territorio avevano intessuto frequenti rapporti.
Come sempre nel Tinti il riferimento non è esaustivo e si deve sottolineare la statuaria posa classica di san Damiano, prossimo al Bedoli nella fisionomia e nell’elegantissimo disporsi della mano quasi disarticolata, come pure il gusto spiccatamente manierista per il panneggio di andamento improbabile e scheggiato, su cui la luce trascorre con raffinatissimi effetti di serica lucentezza (ancora evidenti nonostante la qualità materica del dipinto sia stata compromessa da vecchi restauri); non mancherebbe infine, nella figura riversa, un ricordo del Martirio di san Miniato del Barocci (Feroldi). I vasti riferimenti culturali e le diversificate influenze che il dipinto denota illustrano appieno il carattere composito dell’arte del Tinti, che qui raggiunge una delle sue più equilibrate espressioni nella mediazione fra maniera e verità, ben esprimendo il buon livello di questo pittore rimasto curiosamente estraneo alla committenza farnesiana.