- Titolo: Madonna col Bambino, san Giovanni Battista e un angelo
- Autore: Maestro della Madonna 57 di Parma
- Data: 1480-1490 circa
- Tecnica: Tempera e oro su tavola
- Dimensioni: 97,6 x 59
- Provenienza: Parma, collezione Tacoli Canacci già in Galleria nel 1875
- Inventario: GN57
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Dal Medioevo a Leonardo Ala Ovest
La raffigurazione della Madonna seduta in adorazione del Bambino, che tiene sulle ginocchia, deriva da un motivo iconografico diffuso a Firenze da Donatello e dalla sua bottega all’inizio della seconda metà del XV secolo, come la più volte replicata “Madonna Piot” del Museo del Louvre. Le figure dell’angelo e del Battista sono disposte entrambe sulla sinistra. Sullo sfondo è un’apertura paesistica con rocce scheggiate e radi alberelli che si stagliano contro un cielo crepuscolare di un azzurro cupo illuminato in alto da riflessi dorati, fra i quali si vede la colomba dello Spirito Santo.
Il Ricci (1896) ci informa che l’opera era fra quelle acquistate a Firenze dal marchese Tacoli Canacci nel 1787, in seguito alle soppressioni leopoldine, e vendute al duca Ferdinando di Borbone. Pur essendo verosimile, la notizia, accolta dal Quintavalle (1939a), non è verificabile, in quanto non si vede sul retro della tavola il cartellino che doveva riportare questa indicazione, analogamente agli altri dipinti provenienti dalla raccolta Tacoli Canacci; né l’opera è identificabile fra quelle citate nel pur preciso Catalogo manoscritto della collezione del 1790-1792 o in quello a stampa del 1796. Il Ricci riporta inoltre parte dell’iscrizione che si trovava a tergo della tavola, in cui, con una grafia ancora settecentesca, era scritto “Cennino di Drea Cennini”: l’annotazione riguardava evidentemente l’attribuzione data dal Tacoli Canacci al dipinto.
Ignorata nei vecchi cataloghi della Galleria, l’opera è presumibilmente identificabile con la Madonna col Bambino, santa Elisabetta e una giovanetta citata dal Martini (1875) con il numero di inventario 57, come “pittura anteriore al 1400”. Il Ricci ricordava invece questa “tavola assai patita e ritoccata”, con il corretto soggetto, come opera di scuola toscana del XV secolo. Il Quintavalle ne precisava il riferimento a un pittore toscano della seconda metà del ’400 e, menzionandola come “molto guasta da malcauti restauri e ritocchi”, la diceva “ispirata nel putto a Lorenzo di Credi e a Botticelli nella Madonna e nell’Angelo”. Il dipinto mostra una marcata ricerca di preziosismi nella raffinatezza dei particolari decorativi, come il dettaglio della collana e dei braccialetti di corallo di cui è adorno il piccolo Gesù, la coroncina di fiori rossi e bianchi sulla testa dell’angelo, le trasparenze del velo appena accennato sul corpo del Bambino e di quello sopra il capo della Vergine, la profusione di oro nelle aureole, nel profilo delle vesti della Madonna, nei bordi dello scollo e delle maniche di quella dell’angelo, nella voluta del faldistorio che si intravede in basso a destra. Questi elementi di insistita eleganza, l’impiego dell’oro e l’inserimento di dettagli ornamentali, sembrano aderire a una tendenza arcaizzante, di recupero di motivi raffinati legati alla produzione del primo ’400, che si diffonde in ambito fiorentino nell’ultimo quarto del secolo e riguarda soprattutto la produzione di opere di soggetto sacro destinate alla devozione privata o alle confraternite, che costituiscono, come notava la Filippini (in Maestri… 1992, p. 183), “immagini religiose di grande carica devozionale e simbolica, pur accordandosi alla preziosità decorativa propria delle più raffinate botteghe fiorentine, ad esempio quella del Ghirlandaio”. L’ignoto autore della tavola di Parma si inserisce in questo filone arcaizzante con un linguaggio formale che aderisce pienamente ai canoni rinascimentali portati avanti in Toscana dai divulgatori dello stile di Domenico Ghirlandaio. Le figure sono certamente ispirate ai personaggi del grande maestro fiorentino, nelle fisionomie aggraziate, nelle morbide fattezze dei volti, negli atteggiamenti pacati dall’intonazione umana, nonché nella consistenza plastica dei corpi graficamente definiti.
Everett Fahy mi ha gentilmente segnalato alcune opere che ha raggruppato intorno a questa Madonna, ritenendole dello stesso pittore, forse un maestro pisano attivo intorno all’ottavo e nono decennio del ’400: una Madonna con san Giovannino in adorazione del Bambino, già nella Gibbes Art Gallery di Charleston (riprodotta nella pubblicità della Grace Gallery di Maria Grazia Rossi ad Arezzo in “Gazzetta Antiquaria”, nn. 20-21, 1994), due tavole di soggetto analogo, una nella collezione di Sir Tatton Sykes a Driffield (East Yorkshire) e una proveniente dalla collezione Spiridon a Parigi, venduta a Berlino nel 1929 (pubblicata da Fischel 1929, lotto 23); due dipinti con Tobiolo e l’angelo, uno già nella collezione Arnaldo Corsi presso il Museo Bardini di Firenze, l’altro al Museo dell’Università di Princeton; qualche dubbio sull’identità di mano è poi espresso dallo studioso riguardo alla Madonna col Bambino con Tobiolo e gli arcangeli Michele e Raffaele del Museo Nazionale di San Matteo a Pisa, a causa dello stato di conservazione della tavola, assai ridipinta. Per quanto sia giudicabile dalle riproduzioni fotografiche di alcune di queste opere, che non è stato possibile controllare dal vero, i dipinti elencati sono stilisticamente omogenei e il raggruppamento proposto dal Fahy, che ringrazio, risulta convincente.