- Titolo: Madonna col Bambino fra i santi Orsola, Lucia, Rocco e Quirino
- Autore: Pomponio Allegri
- Data: Metà del XVI secolo
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 216,5 x 161,6
- Provenienza: Parma, ex chiesa di Santa Maria in borgo Taschieri; in Galleria nel 1848
- Inventario: GN148
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Dal Rinascimento al Barocco Ala Nord Alta
Fu per primo il Pungileoni nel 1817 nelle sue Memorie istoriche… sulla vita del Correggio a ricordare la scoperta, nella chiesa di Santa Maria in borgo Taschieri in Parma (sconsacrata nel 1933), di un quadro raffigurante la Madonna col Bambino e santi di Pomponio Allegri, figlio del più celebre Antonio detto il Correggio.
Dopo un breve inizio nel paese natio, dove nel 1546 eseguì il suo primo lavoro, gli affreschi, scialbati nel 1741, per la cappella del Corpus Domini nella chiesa di San Quirino, Pomponio si trasferì a Reggio Emilia, dove nel 1555 ottenne la cittadinanza e vi si trattenne fino al 1559, l’anno del suo definitivo trasferimento a Parma. Del periodo reggiano, durato quasi un decennio, non vi è alcuna traccia, fatta eccezione per gli affreschi in una sala di casa Calcagni, dei quali resta solo una memoria documentaria (Pirondini 1986, pp. 224 sgg.). Giunto a Parma negli anni della sua piena maturità, Allegri si presenta alla città con una modesta esperienza lavorativa (il cospicuo patrimonio lasciatogli dal padre gli permise di vivere agiatamente e senza alcuna effettiva necessità di guadagnarsi da vivere), ma con una grande eredità da sostenere. Riceve infatti il suo primo incarico dai fabbricieri della Cattedrale, la decorazione del catino absidale nella cappella a destra nel presbiterio con Mosè sul Sinai nell’atto di ricevere le tavole della Legge (1560-1562), più per il ricordo e la fama del valore dell’arte paterna che per le proprie doti e capacità artistiche.
I caratteri ancora molto correggeschi di questo primo lavoro parmense hanno fatto supporre un suo approccio alla pittura sotto le direttive del padre (Pungileoni 1817): benché non si possa sostenere un vero e proprio alunnato presso di lui (Pomponio rimase orfano del padre poco più che dodicenne), sicuramente è l’arte paterna il suo punto di partenza. Dalla storiografia locale tardosettecentesca fu preso in seria considerazione anche un suo rapporto, in qualità di allievo, con il pittore parmigiano Francesco Maria Rondani (1490-1550), ipotesi del tutto inaccettabile dal momento che il Rondani morì quando Allegri non era ancora giunto a Parma e, del resto, pare anche abbastanza improbabile un loro eventuale incontro a Reggio Emilia (Pomponio, infatti, risiedette stabilmente in quella città solo a partire dal 1551). Inoltre, poco rilevanti sono anche i punti di contatto fra l’arte del Rondani e dell’Allegri, se non per quell’evidente “correggismo” – come riscontrava il Ricci – che caratterizzò molti degli artisti che vissero sotto la diretta o indiretta influenza del Correggio. Nonostante i biasimevoli giudizi di Venturi e Quintavalle che lo definirono artista “meschino”, “poco più che mediocre” e il più “degenere” fra i seguaci del Correggio, Pomponio sembra aver avuto un discreto consenso da parte della committenza locale, sia religiosa sia laica, che gli permise di ottenere diversi incarichi in città. I lodevoli apprezzamenti dei contemporanei, condivisi anche dall’Affò (1796) – fin troppo esagerati considerata l’esiguità delle opere che ci restano – sembrano potersi giustificare per il fatto che, quando Pomponio lavorava a Parma, fra gli Anni sessanta e novanta del ’500, erano venuti a mancare non solo i più grandi Correggio e Parmigianino, ma anche i loro migliori eredi, quasi tutti deceduti entro la metà del secolo, e nel panorama artistico cittadino si risentiva della mancanza di nuove e incisive personalità.
A questo fervido periodo per l’artista correggese risale anche la pala della Galleria, dove, pur con evidenti limiti, egli tenta di esprimersi con proprio e autonomo linguaggio. La massiccia corporeità che caratterizza la Madonna, seduta al centro su di un trono, percepibile solo dai tre gradini al di sotto dei suoi piedi, le figure dei quattro santi, distribuiti di fianco a lei con posture e secondo uno schema rigorosamente simmetrico piuttosto arcaico, gli sguardi privi di vitalità e la gestualità rigida e contratta, le fosche e pesanti ombreggiature sono solo alcuni degli aspetti che denotano il modesto fare artistico del pittore correggese. Anche la tenda disposta sulla scena, trattenuta come un rigido sipario, non è altro che l’espressione di una muta citazione con la quale Pomponio sembra parafrasare le migliori opere del padre. Neppure nel disegno, debole e insicuro, nonostante il tentativo di avvicinarsi a certo linearismo tardomanierista, come ad esempio nella resa delle mani, e nei toni cromatici, purtroppo incupiti e offuscati da uno spesso strato di vernice giallastra, riesce a ottenere qualche migliore risultato.
Non è forse un caso che nel 1842, quando questo dipinto fu presentato all’Accademia di Belle Arti di Parma da parte dell’opera parrocchiale della chiesa di Santa Maria in borgo Taschieri, il direttore Paolo Toschi decidesse di farlo valutare da una commissione di illustri professori, i quali, benché non lo ritenessero artisticamente molto meritorio, considerarono conveniente l’acquisto più che altro per il suo valore storico e come effettiva testimonianza della produzione dell’unico erede del Correggio. La tela fu pertanto acquistata nel 1843 per 1500 lire correnti. Dell’opera non si conosce l’esatta ubicazione, si può solo supporre, sulla base di una nota manoscritta da Scarabelli Zunti, il quale ricorda che al tempo della visita pastorale di monsignor Castelli (1578) nella suddetta chiesa era presente un altare dedicato a San Rocco. La presenza di San Quirino, anch’egli invocato come protettore durante le epidemie pestilenziali e i due piedi tagliati con l’ascia, posti in basso al centro del dipinto, potrebbero alludere a una grazia ricevuta da un eventuale offerente e quindi al carattere prettamente votivo del dipinto.