Il piccolo altarolo portatile, che raffigura la Madonna col Bambino in braccio che trattiene un uccellino, venne commissionato dal fabbro “Neri di Lorenzo”. Si trova inventariato per la prima volta come “Bruno Fiorentino” al n. 14 del Catalogo del 1790-1792 scritto dal marchese Tacoli Canacci e quindi deve fare parte dei primi acquisti di fondi oro in Firenze di cui lo stesso Tacoli riferisce in una lettera all’Affò del 1787 (Talignani 1986, p. 35).

L’opera entra presumibilmente nella collezione del duca don Ferdinando a partire dal 1790-1792 quando le venne applicata la cornice settecentesca distintiva di tutti i dipinti presenti nella collezione parmense. Benché il retro della tavola sia inaccessibile, Ricci (1896) ricorda un cartellino applicato sulla tavola con scritto “Etruria pittrice” seguito dall’indicazione “Bruno fiorentino, un discepolo d’Andrea Tafi, fioriva circa il 1320”, e cioè l’usuale appunto che il Tacoli utilizzava per contraddistinguere le opere da vendere inserite nella serie di cataloghi inviati al re di Spagna, e nel quale indicava minuziosamente ciò che era già stato annotato in questi ultimi: il preciso titolo dell’opera, le misure riportate in braccia, il nome dell’autore con data di nascita e morte e il nome del suo maestro.

Dopo l’attestazione del 1790-1792, del piccolo quadro si perdono le tracce fino al 1865. Non essendo citato nella Nota … di Toschi del 1821, l’opera può aver seguito due vie: o è stata alienata nel territorio parmense fra il 1802 e il 1821 su consiglio di Scutellari (Baroncelli 1996) e solo in un secondo momento (anteriore al 1865) è rientrata nella residenza ducale; oppure essa è rimasta indisturbata in un angolo della residenza ducale di Colorno, senza subire né le peregrinazioni del 1821 volute da Maria Luigia d’Asburgo né quelle del 1851 richieste dai Borboni al loro rientro dall’intermezzo lucchese. Gaetano Schenoni, nella Distinta dei mobili e oggetti del 3 giugno 1865 cita almeno due opere che potrebbero identificarsi con quest’oggetto. Al “n. 42” si fa riferimento a una tavola di “Scuola antica” con una Madonna col Bambino (n. 478)  e al “n. 4” viene inventariata un’altra Madonna col Bambino, sempre di “Ignoto (Scuola antica)”, accanto alla quale è stato scritto a matita, in stile moderno “n. 445”, appunto il numero d’inventario del nostro oggetto. Che si tratti dell’una o dell’altra citazione, l’altarolo viene trasferito nel 1865 dalla residenza ducale alla Regia Galleria e qui viene ricordato dal Martini (1875) nella “Sala dei dipinti antichi” come opera di “Bruno di Giovanni fiorentino, viveva nel 1350”. Il Pigorini (1887) non cambia l’antica attribuzione mentre Ricci (1896) la ascrive genericamente a “Scuola di Giotto”.

È Berenson (1932) a proporre il nome di “Lorenzo di Niccolò florentine, influenced by Spinello Aretino and Lorenzo Monaco” e Longhi ne conferma l’attribuzione poco più tardi (Quintavalle 1939a). Quintavalle (1939a) la ritiene della fase giovanile di Lorenzo di Niccolò, e documenta il primo restauro dell’altarolo che poco prima era stato “liberato dalle cordonature a stucco nel fondo e dalle arbitrarie aggiunte settecentesche nel supporto, come dai rozzi e vari restauri”.

Benché le notizie documentarie su Lorenzo di Niccolò siano state pubblicate dal Milanesi nel lontano 1901 e riassunte dal Colnaghi nel 1927, la critica ha continuato fino a tempi recenti a chiamare l’artista col cognome Gerini.

È stata la Fahy nel 1978 a precisare il patronimico del pittore, a cui ha fatto seguito la Gealt (1979) pubblicando i documenti di pagamento all’artista, in cui non compare mai il cognome Gerini. Che il pittore fosse stato a lungo tempo ritenuto figlio del Gerini e suo “alter ego in tono notevolmente minore” (Tartuferi 1983) si spiega soprattutto col fatto che i due artisti collaborarono ripetutamente insieme. Anzi, proprio il più antico documento esistente su Lorenzo lo indica associato di Niccolò di Pietro Gerini a Prato nel 1392. Benché la Gealt (1979) abbia escluso dal catalogo dell’artista la Madonna parmense, attribuendola al “follower of Lorenzo di Niccolò who is responsible for the Chianciano, Chiusi, Madonna dell’umiltà, Tartuferi (1983) nota che proprio in quest’opera sia “interpretata la raffinata dolcezza del Maestro della Madonna Strauss”. Il piccolo altarolo pare situarsi infatti negli anni della prima maturità di Lorenzo, posteriormente alla prima prestigiosa committenza medicea. L’opera, infatti, non sembra appartenere alla fase più antica dell’attività di Lorenzo, in cui l’artista esordiente si appoggia fortemente ai modelli autorevoli dell’estroso Spinello Aretino e del Gerini, culminante nell’Incoronazione della Vergine per Santa Felicita (del 1401) e nel San Bartolomeo e storie del Museo Civico di San Gimignano, prima opera autonoma di Lorenzo. L’altarolo sembrerebbe collocarsi nel primo decennio del secolo, dopo l’importante contratto mediceo per l’Incoronazione della Vergine da porsi sull’altare maggiore di San Marco a Firenze del 1401-1402, e prima dell’Incoronazione della Vergine e quattro santi per la cappella Medici in Santa Croce, del 1410, in cui è presente un lusso gotico più fiorito e una ricerca di preziosismi memore delle novità gotiche internazionali che andavano susseguendosi nella Firenze d’inizio ’400. La sinuosità della linea, il panneggio del Bambino, che scende fluente in soffici pieghe, rendono questa Madonna distante dalle opere dell’esordio e documentano i primi influssi di Lorenzo Monaco su questo artista, che può aver guardato a opere come il bellissimo altarolo della Pinacoteca di Siena o ancor più al trittico di Empoli. Vicinissima per tipologia e stile all’altarolo parmense, tanto da sembrarne una versione più antica, sembra essere la Madonna col Bambino e Padreterno (cm 80 x 42) apparsa in una vendita londinese di Sotheby’s (Catalogo… 1982) proveniente dalla collezione D.A. Davison e dal 1988 in una collezione privata di Pistoia.

Scheda di Silvia Giorgi tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere dall’Antico al Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1997.