Il dipinto, eseguito per l’altare della cappella di Sant’Agostino della chiesa di San Luca degli Eremitani di Parma, venne rimosso dal suo sito nel 1803 per essere trasportato a Parigi poiché si ritenne che in esso vi fossero “…trés belles choses, surtout dans le St. Jérome, où l’on voit qu’il a taché d’imiter le Corrège dans l’emplament. Le ton et le style du drapè, le fond qui est une campagne, sont très beaux” (Liste… 1803); tornò a Parma nel 1816 e da allora si trova in Galleria.

È il solo dipinto d’altare firmato da Francesco Maria Rondani, artista parmense a lungo ricordato dalla storiografia come pedissequo, se non addirittura rozzo, collaboratore di Correggio e di Michelangelo Anselmi (su disegno del primo eseguì attorno al 1522 il fregio della navata centrale della chiesa di San Giovanni, col secondo affrescò i sottarchi della cappella Del Bono e il catino dell’abside sud della stessa chiesa nonché la volta e i pennacchi dell’oratorio della Concezione), ma che in vita conobbe fama e prestigiose commissioni: nel 1522 ricevette l’incarico per la decorazione, mai compiuta, del transetto meridionale della Cattedrale; nel 1527 gli vennero richiesti gli affreschi della cappella Centoni, sempre in Cattedrale, condotti a termine nel 1531; intorno al 1524 dipinse nel chiostro dei novizi di San Giovanni i Miracoli di san Benedetto; nel 1530 – a quanto ci dice Affò (1796) – decorò una parete del coro di Sant’Alessandro; nel 1532 e nel 1550 partecipò all’allestimento degli apparati pittorici, anch’essi scomparsi, rispettivamente predisposti per le celebrazioni dell’arrivo a Parma dell’imperatore Carlo V e per le nozze del duca Ottavio. E questa fama perdurò, almeno negli ambienti di corte, anche in tempi più recenti, se è vero che nei primi decenni del XVIII secolo le due pale con l’Assunzione e con la Madonna in gloria fra i santi Pietro e Caterina oggi a Capodimonte vennero acquistate per l’Appartamento dei quadri del Palazzo Ducale (Leone de Castris 1994, pp. 228-230).

Poche, dunque, le opere del Rondani giunte fino a noi e fra queste, indubbiamente, la pala in esame è un importante punto focale per comprendere come l’artista parmense sia stato un interprete e un divulgatore non banale, ancorché eccentrico, non solo della rivoluzione linguistica correggesca, ma anche di altri diversi stimoli che animavano la cultura pittorica parmense nel terzo decennio del ’500.

C’è molto Correggio, accompagnato da un sentore ferrarese, nell’ampio, sereno, luminoso paesaggio di fondo, nell’affettuosa grazia della Vergine col Bambino, nell’animata posa del corpo di San Gerolamo, nello scorcio e nell’espressione impressi al suo volto; ma nel disegno del ricco piviale di sant’Agostino e nella definizione delle essenze vegetali in primo piano si avverte anche l’interesse per la raffinata ricerca descrittiva che già si mostrava nelle opere del giovane Parmigianino e che nel decennio successivo avrà tanta parte nel fare di Bedoli, così come nell’allungamento delle figure dei due santi si ravvisa una certa attenzione per le eleganti forme della maniera senese portate a Parma da Anselmi.

Come tutta l’opera di Rondani anche questa pala ha conosciuto alterna fortuna nel giudizio degli storiografi: Ricci (1896) la dice un po’ decorativa e trascurata, ma armonica nella composizione e bellissima nella resa del paesaggio; Venturi (1926) vede nella Madonna col Bambino una fiacca ripetizione della Madonna di san Francesco di Correggio e bolla “l’iperbolico allungamento delle immagini dei Santi Girolamo ed Agostino, piantati come pertiche sul primo piano”; Quintavalle (1939), pur apprezzando “il dolce sfumato del paesaggio azzurrino d’ispirazione ferrarese”, ribadisce le osservazioni di Venturi; la Ghidiglia Quintavalle (1960-61) rileva come l’impronta correggesca e ferrarese del cielo, del paesaggio e del gruppo con la Madonna col Bambino scada, nelle figure dei santi, “nella pesantezza dei panni e nella caratterizzazione fisionomica volutamente accentuata”; Russell (1976) suggerisce, oltre ai debiti con Correggio, affinità col classicismo di Moretto e notando numerosi punti di contatto con gli affreschi della cappella Centoni in Duomo propone una datazione attorno al 1525-1527; Freedberg (1988) indica, invece, una cronologia anteriore al 1525 e in una sola riga liquida la pala come correggesca nella tecnica, ma conservatrice nel disegno; la Fornari Schianchi (1995b), infine, dopo aver lamentato il giudizio frettoloso e liquidatorio che molta critica ha riservato a Rondani, mette in risalto le numerose suggestioni presenti nel dipinto che vanno da Correggio a Garofalo, dal giovane Bedoli alla cultura nordica.

Per quel che riguarda la cronologia dell’opera, una data attorno al 1529 parrebbe plausibile, poiché in quel periodo la chiesa degli Eremitani, edificata a partire dal 1249 e consacrata nel 1313, fu rinnovata e ampliata su disegno di Bernardino Zaccagni (Da Mareto 1978, p. 82).

Iscrizione: Fran.° M.a Rondani F.

Scheda di Patrizia Sivieri tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.