- Titolo: Maddalena penitente e un angelo
- Autore: Lionello Spada
- Data:
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm, 117 x 155
- Provenienza: Parma, collezione Sanvitale, 1834
- Inventario: GN 162
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Proviene dalla raccolta Sanvitale presso la quale (inv. 89) era assegnata a Giacomo Cavedoni. Riferita genericamente a “Scuola bolognese del XVII secolo” nei primi cataloghi della Galleria (Martini 1972 e 1975; Pigorini 1887), è stata attribuita dal Ricci al Tiarini, sotto il cui nome è rimasta fino a tempi recenti, salvo la proposta del Quintavalle di trasferirne la paternità a un seguace del maestro bolognese.
Ritengo invece si tratti di un’opera di Lionello Spada, databile al tempo degli affreschi della basilica della Ghiara in Reggio, tanto è vero che la registravo in un mio intervento del 1994. Credo inoltre che si riferisse a quest’opera Maurizio Calvesi quando nel 1959 annotava: “prossima / ad una giovanile Sacra Famiglia di collezione privata /, sebbene un po’ posteriore, ci sembra una Maddalena della Pinacoteca parmense, che attribuiamo allo Spada”.
Artista fra i più singolari, anche se non fra i più grandi, della cerchia carraccesca, Spada viene ancora tenuto ai margini del panorama bolognese di primo ’600; non risulta infatti presente, con l’eccezione della mostra del 1959 (Calvesi), in molti dei recenti cataloghi internazionali dedicati alla Scuola bolognese. Ciò trova forse giustificazione nel gusto un po’ greve e forzosamente naturalistico della sua pittura, che sembra esulare dalla misura narrativa del filone carraccesco, tanto che lo stesso Malvasia, che pure gli dedica una delle sue Vite (Malvasia 1678, ediz. 1841-1844, II, pp. 73-84), concede più spazio agli aneddoti della sua vita scapestrata che alle sue opere e sembra inoltre poco informato sull’attività parmigiana dell’artista.
Dopo una prima attività come quadraturista e come epigono dei Carracci nella produzione di “fregi”, in sodalizio con Lucio Massari e Francesco Brizio, una tappa romana e un ormai assodato soggiorno a Malta, Lionello rientra a Bologna, dedicandosi, oltre che alla produzione di pale d’altare, a quadri da cavalletto di diverso soggetto ma caratterizzati da un’adesione, se non allo stile, ché la matrice resta sempre ludovichiana, al genere caravaggesco, il che, oltre al suo carattere impossibile e alla sua tracotanza, gli merita il perfido soprannome di “scimmia del Caravaggio”. Partecipa con la decorazione ad affresco della cupola e del braccio nord e con una pala alla grande impresa della basilica della Ghiara in Reggio e nel 1617 si trasferisce a Parma, al servizio di Ranuccio I, entrando a far parte della Corte e godendo della simpatia del duca. La scomparsa di questi causerà il declinare della fortuna dell’artista che morirà in miseria.
Trasferiti a Napoli i dipinti dello Spada presenti nelle collezioni Farnese (e pochi se ne sono rintracciati; si veda Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte 1994), quelli che attualmente si conservano nella Pinacoteca parmense provengono dalla Raccolta Sanvitale, di formazione sei- settecentesca.
Questa Maddalena non potrà quindi coincidere, anche se la descrizione sembrerebbe calzante, con quella registrata in un inventario del 1680 pubblicato dal Campori (1870, p. 223), nella Camera detta di Santa Chiara: una Maddalena “piangente a mani giunte, gli occhi verso il cielo vestita di un panno rosso. Alto br. 1 once 7 e 1/4”, indicata peraltro, analogamente al suo pendant, un San Pietro piangente vestito di panno giallo, come un “quadro per l’alto”.
Che la tela spetti allo Spada lo attestano i confronti proponibili col Perdono di Assisi già nella cappella Brami della Ghiara e oggi all’Estense di Modena (cfr. Frisoni 1986a, p. 195 e Benati 1991b, pp. 95, 96), dove alla lezione carraccesca si sommano il luminismo neocorreggesco del Lanfranco, e ancor più con le membra disarticolate degli Angeli musicanti recentemente riemersi dai depositi di Capodimonte (Leone de Castris – Utili 1994, pp. 253-257).
La posa e l’espressione convenzionali ed eccessivamente languide della fiorente figura femminile, dai larghi fianchi pressoché scoperti, il plasticismo gommoso e il panneggio ridondante (entro il quale zone ocra fanno presumere l’esistenza in origine di una velatura a lacca) sono riscattate dai robusti particolari naturalistici, come il rotondo teschio in primo piano, il libro che riproduce realisticamente una illustrazione a stampa, l’albero nodoso e la stuoia a tocchi rilevati di colore.