La Maddalena piangente che stringe fra le mani la corona di spine e un panno di lino macchiato di sangue è sempre stata tradizionalmente stimata fra le opere più suggestive del Guercino nella Pinacoteca parmense.

L’attribuzione all’artista centese viene precisata nel corso dell’800 (Inventario Sanvitale 1834, dov’è descritta come “maestrevolmente dipinta […] nella sua terza maniera”; Martini 1872 e 1875; Pigorini 1887 e Ricci 1896). Si consolida durante la prima metà del secolo successivo grazie al contributo critico della Ghidiglia Quintavalle (1934), che data il dipinto nel secondo periodo dell’artista, successivo al soggiorno romano (1621-1623), ancora stilisticamente affine all’Aurora del Casino Ludovisi e alla Maddalena con due angeli conservata nella Pinacoteca Vaticana.

Dopo un’appassionata descrizione tesa a mettere in luce la bellezza delle ombrose chiome ramate, del corpetto intessuto di pietre preziose e dei toni armonici delle morbide vesti, la Ghidiglia Quintavalle conclude ponendo in risalto la “sensualità calda e serena” che emana dalla figura della santa. Una sostanziale concordanza di giudizio si ritrova in Quintavalle (1939 e 1948b) che pone l’accento sulla fisionomia femminile “dal largo ovale e dai tratti classicheggianti” e sulle profonde ombreggiature di tonalità verdastra, peculiari, a suo avviso, di questa fase postromana. Negli anni Cinquanta però la stessa Ghidiglia Quintavalle (1956b) comincia a dubitare di quella che era sembrata un’inoppugnabile attribuzione al pittore.

Accogliendo i dubbi già espressi dalla studiosa, chi scrive ritiene la Maddalena un’opera licenziata nel corso degli Anni venti, da riguadagnare alla bottega guercinesca, priva di quella scioltezza di tocco e dell’eleganza formale che accomunano gli originali del maestro; peculiarità queste visibili solitamente nella delicatezza degli incarnati e nella morbida redazione pittorica delle vesti, qui impoverite e contratte. Si veda, a riprova, la splendida Maddalena con il teschio della collezione Suida Manning di New York, databile al 1624-25 (Stone 1991), che presenta una qualità pittorica elevatissima nella resa espressiva del volto, nella squisita trattazione delle stoffe seriche e dello sfondo naturalistico di rovine, in cui risalta l’inserto del cielo azzurro cobalto.

Mahon (com. or.) è dell’avviso che l’opera parmense rappresenti una sperimentazione indipendente di un allievo attivo nell’atelier centese del maestro e ne precisa la datazione verso la metà del terzo decennio, escludendo peraltro l’esistenza di un identico soggetto autografo del Guercino.

Bibliografia
Inventario… 1834, n. 27;
Martini 1872, p. 55;
Martini 1875, p. 14;
Pigorini 1887, p. 14;
Ricci 1896, p. 93;
Voss 1922, p. 220;
Ghidiglia Quintavalle 1934, pp. 504-509;
Sorrentino 1931a, p. 16;
Quintavalle A.O. 1939, p. 81;
Quintavalle A.O. 1948b, n. 180, p. 103;
Ghidiglia Quintavalle 1956b, p. 26;
Stone 1991, p. 125
Restauri
1887 (S. Centenari)
Mostre
Parma 1948
Scheda di Barbara Ghelfi, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.