- Titolo: Maddalena che legge
- Autore: Sisto Badalocchio
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- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 75 x 133,5
- Provenienza: ignota; in deposito presso l’Università degli Studi di Parma dal 1929
- Inventario: GN 67
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
La tela è elencata da Ricci (1896, p. 78) sotto la generica denominazione di “Scuola bolognese (sec. XVII)”, con l’annotazione: “Ha caratteri che ricordano lo Spada, ma è troppo scadente per attribuirlo a quel maestro”.
È questo l’unico cenno pubblicato sul quadro che, dall’11 marzo 1929 (Inventario generale 1938, n. 67), si trova depositato negli uffici del Rettorato dell’Università di Parma. Una collocazione “periferica”, fuori dagli spazi della Galleria, che ha contribuito a farlo dimenticare.
Il dipinto, che per le dimensioni e il formato potrebbe aver svolto la funzione decorativa di sovrapporta, si trova in condizioni conservative mediocri, ricoperto da uno spesso strato di sudiciume, con un piccolo buco al centro e con abrasioni nella fascia inferiore. Esaminando il retro del quadro, si nota che il pittore ha utilizzato due tele: verso i piedi della Maddalena, per una lunghezza di circa 25 centimetri, è stata aggiunta una tela di recupero, schiodata da un altro telaio, come indicano i buchi dei chiodi, e incollata sull’altra. La giuntura – non è da dubitarsi – è antica, coeva all’esecuzione pittorica. Accomodare insieme e riutilizzare diversi pezzi di tela era una pratica non rara nelle botteghe artistiche. Se ne dimostra scontento, ad esempio, un committente illustre, don Antonio Ruffo di Messina, che rispedisce a Rembrandt un quadro tutto rabberciato (Alpers 1990, p. 109).
Sul dipinto compare la figura distesa della Maddalena che legge, ispirata all’iconografia del quadro perduto di Correggio (già Dresda, Gemäldegalerie), molto celebrato e copiato. In veste di solitaria penitente nel deserto, Maddalena raggiunge nel ’600 una formidabile fortuna e si trova spesso associata in pendant con Gerolamo, l’altro santo ritiratosi a vita eremitica. Entrambi esprimono la via dell’ascesi, l’allontanamento dai piaceri terreni e il sacrificio necessario per la salvezza. Sono figure del riscatto dalla vanità della vita umana in vista dell’eternità (Bergot 1990, pp. 43-47). È questo il significato del teschio – simbolo di morte e di redenzione – che è situato ai piedi della Maddalena nel quadro di Parma. All’altra estremità è disposto, con ordinata simmetria, il vaso di unguento, consueto attributo della santa. Lì accanto delle catenelle; non è chiaro se siano i gioielli abbandonati o il flagello per percuotersi. Appoggiata a un masso rialzato, la Maddalena giace in terra, ricoperta da un manto rosso, che lascia scoperto il busto, intenta alla lettura di un libro. Alle sue spalle si apre un paesaggio, memore di presenze umane nei tre scalini di pietra, scanditi sul pendio. Le rovine, forse, di un tempio pagano abbandonato.
La tipologia della figura, dalle forme salde e tornite (come si evidenzia soprattutto nell’avambraccio in lieve scorcio), e del paesaggio, il sapiente, illusivo aggetto plastico del libro indicano che l’autore del dipinto si muove nell’orbita dei Carracci, attento in particolare ad Annibale.
La tela mostra precise analogie con la Maddalena in meditazione (Monaco, Alte Pinakothek), restituita a Lanfranco da Schleier (1980, p. 24, fig. 30) e riproposta all’attenzione da Bernini (1982, p. 58, fig. 70). In quello stesso saggio Schleier (1980, p. 27, fig. 31b) pubblicava un piccolo rame di Sisto Badalocchio con una Maddalena in lettura (New York, coll. Morton B. Harris) identica a questa del quadro di Parma. L’unica differenza è il maggiore sviluppo in altezza della composizione statunitense che dà più respiro alla figura. La Maddalena in lettura di New York sostiene una cronologia intorno al 1620 quando – secondo la proposta di Schleier (1980, pp. 26-27) – Badalocchio collaborava a Roma con il concittadino maggiore Lanfranco e fra i due correva una forte vicinanza stilistica.
In rapporto al quadretto di New York, la tela di Parma può intendersi come replica autografa, come copia di bottega oppure come copia successiva, non riferibile, comunque, oltre le soglie del XVII secolo. L’analisi stilistica orienta verso la soluzione intermedia che un restauro potrà confermare o meno.
Come prodotto della bottega di Sisto Badalocchio, la Maddalena di Parma dovrebbe datarsi entro la prima metà del secolo, forse sul 1630-1640.
Il percorso delineato porta a riesumare, con nuovi argomenti, una vecchia tradizione attributiva. Se ne trova traccia nell’Inventario generale dove, alla voce “Osservazioni”, si ricorda che la tela “fu erroneamente attribuita a Sisto Badalocchio”. La pista, scartata dalla catalogazione del Ricci (1896), ritrova invece affidabilità.