- Titolo: Luigi Cotti
- Autore: Ferdinando Boudard
- Data: 1794
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 29 x 22
- Provenienza: ignota
- Inventario: Inv. 989
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Complessivamente soddisfacente è lo stato di conservazione del piccolo dipinto: il colore oscurato da uno spesso strato di vernice, ingiallita in modo difforme, non presenta problemi di tenuta sul supporto, rafforzato sul retro dall’incollatura di una sottile tela di lino su cui è chiaramente leggibile l’iscrizione a inchiostro bruno che informa circa l’identità dell’autore, del ritrattato e l’anno d’esecuzione. Non sono note né la provenienza, né la data d’ingresso in Pinacoteca, comunque non posteriore al 1887, anno in cui appare menzionato per la prima volta nel catalogo del Pigorini.
Nulla si è riusciti a sapere dell’ecclesiastico Luigi Cotti, oltre a quanto si evince dalla scritta che lo dice dottore di teologia d’origini parmensi residente con beneficio nella Basilica Lateranense e amico di Ferdinando Boudard, autore del dipinto, eseguito a Roma nel 1794. Piuttosto scarne in verità sono anche le notizie relative a quest’ultimo, noto soprattutto per essere figlio dell’affermato scultore Jean-Baptiste (1710-1768). Lo Scarabelli Zunti (Documenti… ad vocem, p. 51), lo considera innanzitutto un restauratore. Egli stesso accenna più volte a questa sua attività ricordando il favore incontrato da due interventi da lui eseguiti per la chiesa del monastero benedettino di San Giovanni Evangelista a Parma che suscitarono l’attenzione della duchessa Maria Luigia (cfr. Monaco 1953, pp. 200, 201, 256). Uno, realizzato nel 1820, è riferito dal Donati (1824, p. 39) alla “piccola tavola che è sull’altare [della quinta cappella] colla B.V. e il suo divin figlio in mezzo a due angeli… lavoro di Francesco Francia bolognese” (attualmente conservata nel Museum of Art di Raleigh/North Carolina, cfr. Roio 1998, cat. 41a, p. 168); l’altro probabilmente interessò la pala raffigurante l’Adorazione dei pastori dipinta da Giacomo e Giulio Francia (cfr. Fornari Schianchi 1979a, p. 94). Ricevette comunque una solida educazione accademica, sotto la guida di Antonio Bresciani (1779, premio di disegno di Composizione; 1780, premio di disegno di Nudo) e nel 1781 si stabilì a Roma come stipendiato del ducato di Parma ottenendo nel 1796 dall’Accademia parmense il titolo d’accademico d’onore. In territorio parmense non sono note altre sue opere, anche se documentati sono i rapporti con personaggi di spicco della cultura locale, fra cui in particolare, il direttore del Museo di Antichità Pietro de Lama col quale intrattenne una fitta corrispondenza (cfr. il carteggio pubblicato da Monaco 1953, pp. 183-307). Sappiamo dal De Boni (1840, p. 132) che dipinse per alcune chiese domenicane della Sicilia. Le ricerche effettuate da Papaldo (1971, p. 515) hanno portato all’identificazione del solo Martirio di sant’Andrea, conservato nella chiesa di San Nicolò dell’Arena a Catania (cfr. Siracusano 1986, p. 125, fig. 176).
La diligente fattura del dipinto in discussione, a pennellate liquide con l’incarnato reso a velature sottili e rifinito con lumeggiature a tocco, denuncia il rigore tecnico derivato dagli studi effettuati, ma non vale a riscattare la poca attenzione accordata alla sua produzione pittorica dallo Scarabelli Zunti. Il gusto per l’attenta descrizione del costume e per l’espressione intimamente indagata, maturato grazie alla conoscenza degli esiti raggiunti in tale direzione dalla ritrattistica parmense – basti qui ricordare gli splendidi ritratti “borghesi” di Liborio Bertoluzzi e della moglie (inv. 348 e 342; cfr. scheda n. 723 ) a lungo proposti come modelli per gli allievi dell’Accademia” (Riccomini 1977a p. 130) – si risolve in una composizione di carattere conformistico, priva d’invenzione. Il tono confidenziale che pervade il ritratto rimane in superficie e la narrazione è costretta a ricorrere a facili espedienti: l’informalità della marsina, l’atto consueto della lettura momentaneamente sospesa, lo sguardo bonario e il sorriso compiacente. Si tratta tuttavia di un’opera non priva d’interesse che testimonia un uso mai dismesso del ritratto e assolve con efficacia il compito di restituire l’affettuosa cura insita in un sincero pegno d’amicizia, qui suggellato dall’elegante iscrizione, a regolari caratteri tondi e corsivi, che ne tramanda la memoria.