- Titolo: Lucio Albino accoglie sul carro le Vestali
- Autore: Antonio Pachera
- Data: 1779 (I premio)
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 92 x 137
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: 16
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Nell’anno 1773 il premio per il concorso di Pittura non era stato assegnato: il tema proposto, “Lucio Albino che accoglie sul carro le Vestali fuggitive dopo averne fatto discendere la propria moglie e i figli”, era stato affrontato da due soli concorrenti, ma poiché nelle loro prove non era stato “ritrovato alcun merito”, si decise di rinviare all’anno venturo l’assegnazione della corona, riproponendo agli artisti lo stesso soggetto (Atti…, vol. I, p. 25).
Per rilanciare il prestigio dei concorsi accademici e incentivare la partecipazione dei giovani, sia italiani che stranieri, a partire dal 1774 fu istituito un secondo premio corrispondente a una “Medaglia del valore di due once e mezzo d’oro” (Atti…, vol. I, p. 25).
Ad aggiudicarsi le corone di quell’anno furono due artisti veronesi, Antonio Pachera e Gaetano Fryer (cfr. scheda successiva), già allievi di Giovan Battista Cignaroli (1706-1770), che aveva ricoperto per diversi anni la carica di accademico delegato dell’istituzione parmense per la città di Verona.
Come risulta dagli Atti, il Pachera si dichiara, a quell’epoca, scolaro di Giambattista Marcola, padre del più celebre Marco che, secondo lo Zannandreis, sarebbe stato il suo vero maestro (1891, p. 497). A testimonianza della sua notevole attività come pittore di pale d’altare e frescante, ampiamente documentata dalle note del biografo veronese, restano solo la paletta giovanile di Rovereto (1777-1780 circa; cfr. Chini 1983, p. 33 e Marinelli 2000, p. 196), l’Angelo che appare a Zaccaria della parrocchiale di Pescantina e il quadro con San Zeno e santa Toscana (Verona, Museo di Castelvecchio; cfr. Marinelli 1987, pp. 255-258). Di recente è stata segnalata la sua collaborazione come pittore figurista alla decorazione di una sala in Palazzo Pellegrini a Verona (1779), eseguita con il napoletano Pasquale Cioffo, e della stanza alla “boschereccia” in Casa Gazzola (ora Arvedi), con Giambattista Svidercoschi (1780; cfr. Marini 1988, p. 80 e Marini 1997, pp. 151-152). Qui l’effetto compatto e traslucido della superficie pittorica rinvia agli esperimenti compiuti dal Pachera nell’ambito della tecnica a encausto, appresa a Verona da A.M. Lorgna e perfezionata a Mantova con l’abate Requeño.
I numerosi incarichi ricoperti, fra il 1771 e il 1791, all’interno dell’Accademia cignaroliana attestano il prestigio raggiunto dal Pachera che, sulla base delle poche opere superstiti, si segnala come “una tra le figure più interessanti del secondo Settecento veronese” (Marinelli 1987, p. 255).
Anche la tela presentata a Parma si impone come l’opera di un artista maturo e ormai autonomo, capace di sviluppare con estro e fantasia gli spunti narrativi offerti dal soggetto. L’episodio, riportato da Tito Livio (V, 40) e Valerio Massimo (I, 10) come esempio di pietas religiosa, legato alle origini di Roma e all’antico culto delle Vestali, narra la storia di Lucio Albino che allontanandosi da Roma, minacciata dai Galli, incontra le vergini consacrate in fuga e le fa salire sul suo carro, dopo aver fatto scendere la propria famiglia. Il soggetto, ricordato anche dall’abbé Nadal nelle sue divulgatissime Histoires des Vestales (1725, pp. 53-54), aveva goduto di una certa fortuna in Francia (Hautecoeur 1910, p. 156), ma risulta inedito a queste date in Italia. In epoca neoclassica verrà illustrato, nella sua valenza di exemplum virtutis, da Giovambattista dell’Era e Vincenzo Camuccini (Calbi 2000, pp. 99-100).
Più che dalle implicazioni morali, il Pachera sembra attratto dagli aspetti pittoreschi della vicenda e ci restituisce un racconto gustoso e animato, dove i diversi momenti dell’azione sono scanditi dal serrato concatenarsi dei gruppi entro un suggestivo sfondo di paesaggio: a sinistra il Sommo Sacerdote e una Vestale si prendono cura del fuoco sacro, al centro il corteo delle vergini risponde all’invito di Lucio Albino, a destra alcuni uomini si prodigano per liberare il carro e far scendere la famiglia.
La ricostruzione del Pachera si attiene alle istruzioni contenute nel bando che volevano rispettato “il costume di quei tempi negli abiti delle Vestali e del romano plebeo” e “nel plaustro tirato da buoi e non da cavalli”; anche il luogo dell’azione che “seguì sulla strada che per il ponte Sublicio guidava al Gianicolo” con in vista “in qualche lontananza la città di Cere, dove si avviavano le impaurite Vergini, e i Sacerdoti…” trova precisi riscontri nel dipinto. Tuttavia la libertà concessa agli artisti nell’invenzione degli accessori lascia ampio margine alla fantasia del Pachera che, libero da scrupoli di erudizione archeologica, ci propone un’antichità immaginaria, calata in un clima di arcadia rustica che sconfina sul primo piano nella scena di genere. La tavolozza preziosa (rosa, viola, verdi-azzurri) e l’accento sentimentale che caratterizza i volti e i gesti denunciano la formazione veronese del Pachera che mostra in quest’opera di saper coniugare in una sintesi originale tanto le formule d’accademia del Cignaroli quanto la vivacità estrosa del Marcola.
Una versione del dipinto, di piccole dimensioni e con alcune varianti, è conservata nella raccolta veronese Giusti del Giardino. (E.C.)