- Titolo: L’uccisione di Pompeo Magno
- Autore: Enrico Bandini
- Data: 1836 (I premio)
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 100,5 x 141
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: Inv. 726
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Il tema “L’uccisione di Pompeo che, fuggito dalla rotta di Farsaglia, è per approdare alla spiaggia egizia”, dettato nel 1836 dalla Ducale Accademia di Belle Arti di Parma, valse a Bandini il Gran premio di Pittura su due altri concorrenti effettivi (fra Gaetano Signorini, Stefano Ferretti e Bernardino Pollinari, uno non presentò la prova) per l’abile resa delle figure, enfatizzate nei tratti realistici dall’illuminazione a sinistra: “Il N° 1 si trovò discretamente fedele al primo schizzo: buona composizione e conveniente alla nobiltà del soggetto.
Le teste sono ben colorite e disegnate le altre estremità superiori. I panneggiamenti sono veri e nella massima parte, di buono stile e d’esecuzione facile. Generalmente regna in questo quadro un senso di verità sia nel disegno che nel colore, il quale fa concepire le più lusinghiere speranze del suo autore […] si giudica superiore agli altri due e degno del premio il Num.° 1. non ostante che in totale sia poco finito, particolarmente le estremità inferiori ed il fondo, che sono piuttosto indicati che fatti” (Atti… 1825-1839). Quella seduta del 30 dicembre 1836 taceva, però, l’identificazione del triumviro – nel gesto di velarsi con la toga prima della tragica fine – con Napoleone, audacia tollerabile dal governo per l’evanescenza delle nostalgie imperiali, tuttavia non esauste. Si scelse, infatti, di ritardare la presentazione della tela all’esposizione accademica del 1838 (allorché Bandini era pensionato a Roma), accostandola a una Cena del Nazzareno. Di nuovo, l’anonima Esposizione d’opere di Belle Arti si limitò a recensire, sulla “Gazzetta di Parma”: “Non devesi giudicare l’opera in se precisamente, sibbene il metodo e l’attitudine del pittore. E questi si palesano buoni quanto basta a fondar le speranze di una egregia riuscita se bella costanza e viva brama lo accompagnano nella incominciata carriera. Intanto ne’ due sovraccennati dipinti si può prezzare a tratti lo studio dal vero, qualche gusto di pieghe, non che alcuni ben disegnati volti. Però il disegno in generale della intera figura pensiamo che sia per richiedergli quindinnanzi una singolar attenzione e cure indefesse”.
Quanto ai richiami bonapartisti nell’arte parmense, verso il 1830 Francesco Scaramuzza, coetaneo di Bandini, aveva dipinto, per l’ex ufficiale napoleonico Varron, un ritratto-apoteosi del Corso, San Napoleone martire. Nel 1835 la censura ducale sequestrò la lastra della relativa incisione, voluta fin dal 1831 da Paolo Toschi, direttore dell’Accademia (Cirillo 1992b, pp. 22-23; Argenziano 2000, pp. 153-154). Importa notare che Bandini e Scaramuzza erano entrambi allievi di Giovanni Tebaldi, vincitore a Brera nel 1822 del concorso internazionale con La partenza di Ovidio per l’esilio, gioco allusivo nei riguardi del mondo letterario milanese (Musiari 2001).