Il frammento, ricomposto da tre pezzi, ha il lato maggiore finito da una sottile cornicetta a sguscio obliquo, cui segue una decorazione a “cani correnti” che appoggiano su un liscio cordone. Nella fascia centrale si sviluppano girali costituiti da un nastro a tre vimini che delimita volute desinenti in riccioli e ornate da piccole foglie; dalla intersezione di due volute si genera un piccolo giglio, l’interno è decorato da foglie trilobate o pentalobate fortemente incise e da una margherita a sei petali. Infine, una treccia a nastro tripartita molto compatta occupa lo spazio libero dopo il tralcio, aumentando le dimensioni progressivamente fino all’ultimo anello, che racchiude un doppio cerchio con bottone al centro.

Il verso è finito e liscio: questo fa supporre che la lastra sia stata eseguita per una struttura o un arredo libero.

È pubblicata dalla Fornari Schianchi (1989), che, oltre a rilevare l’impossibilità di ricostruire la forma completa del disegno, segnala la diffusione dei motivi derivati dalla decorazione “longobardica” tipica di lastre assegnabili ai secoli VIII e IX e individua dei legami con pezzi altomedievali modenesi e con altri frammenti altomedievali, quali quelli del Museo di Bobbio.

La decorazione presenta motivi molto comuni in epoca altomedievale, largamente diffusi in esemplari di Ravenna, Brescia, Bobbio, Pavia, Cividale, fino a Orte e Roma. Basti citare, a titolo di esempio, il ciborio di San Pietro in Sylvis a Bagnacavallo, i vari frammenti di amboni e plutei ora conservati al Museo Lapidario di Modena e, infine, i numerosi pezzi conservati al Museo dell’Abbazia di San Colombano di Bobbio.

Il motivo del tralcio vimineo non intrecciato, ma aperto, è presente nell’architrave della pergola di San Leone a Capena (Roma), unito, come nella lastra di Parma, a quello dei riccioli rampanti, o “cani correnti”. L’intromissione della margherita nell’ansa del tralcio è nota anche in esemplari di Pavia, Bobbio e Modena; meno diffusa è invece la presenza solo delle foglie polilobate (o palmette) come decoro centrale del tralcio; molto più comune è infatti l’alternanza con il motivo del grappolo d’uva. Anche i riccioli con doppia scanalatura costituiscono una variante del tipo con il corpo liscio più largamente diffuso.

Si tratta dunque di un pezzo che presenta temi decorativi comuni con piccole variazioni ed elaborazioni proprie, ma che sostanzialmente non si discosta dai modelli già esemplificati ed è quindi databile al IX secolo, probabilmente entro la prima metà.

Per quanto riguarda la possibile collocazione della lastra, nonostante le cadute e le corrosioni, i due lati maggiori finiti e l’andamento della treccia suggeriscono una originaria forma triangolare. Esempi di lastre triangolari si hanno a Modena, nel frammento con pavone ora al Museo Lapidario (inv. 97) e a Brescia, nella lastra appartenente alla scaletta dell’ambone di San Salvatore. Potrebbe dunque appartenere a un arredo analogo anche l’opera qui in esame; tuttavia l’esiguità del frammento non permette di affermarlo con sicurezza; altri pezzi simili, infatti, sono stati assegnati al timpano di un ciborio – ma la mancanza di un accenno alla curvatura dell’arco parrebbe escluderlo per questa lastra – o più genericamente a pergole.

Scheda di Maria Pia Branchi tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere dall’Antico al Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1997.