- Titolo: La Scartocciata
- Autore: Johann Zoffany
- Data: 1778- 1779
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 43,5 x 38
- Provenienza: collezioni ducali; donato da Maria Luigia alla Pinacoteca nel 1821; richiesto nel 1851; restituito nel 1865
- Inventario: Inv. 111
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Il Grand Tour
Il quadro è stato eseguito da Zoffany nel corso del suo breve soggiorno parmense, durato circa un anno e documentato attraverso la nomina ad Accademico d’onore dell’Accademia di Belle Arti di Parma, avvenuta l’8 giugno 1778, dall’iscrizione apposta dall’artista stesso sull’Autoritratto tuttora conservato in Galleria (inv. 1118v; cfr. scheda precedente) e infine dal conferimento di una munificenza da parte della Corte il 12 marzo 1779 (Ghidiglia Quintavalle).
Il dipinto faceva parte delle collezioni ducali, viene donato dalla duchessa Maria Luigia alla Pinacoteca nel 1821; la Corte lo richiede trent’anni dopo (1851), tuttavia l’inventario manoscritto del 1852 testimonia il quadro in Galleria e infine, nel 1865, è ceduto definitivamente dal Guardamobili ducale alla Reale Accademia. Negli inventari e nei documenti antichi coevi ai passaggi è sempre mantenuta l’attribuzione al pittore tedesco Johann Zoffany, mentre il soggetto è interpretato dapprima e inspiegabilmente come Ciechi che suonano, in seguito Concerto di suonatori ambulanti. Secondo la tradizione dovrebbe trattarsi di un concerto di mendicanti svoltosi a Colorno per deliziare il duca Don Ferdinando di Borbone, ma Quintavalle, sottolineando gli aspetti di gusto squisitamente nordico che la scena presenta, dubita possa rappresentare questo tipo d’intrattenimento. La lettura di un passo di Moreau de Saint Méry, ha infine consentito alla Webster (1976, pp. 67-68) di individuare più esattamente l’iconografia dell’opera; la studiosa ritiene che il dipinto mostri una festa popolare, la scartocciata, svoltasi probabilmente a Marore, presso Parma, nel cortile della villa dell’architetto di Corte Petitot, il cui profilo si staglia sullo sfondo a sinistra; mentre nell’altro personaggio, ben vestito e raffigurato in secondo piano con in mano un foglio manoscritto identifica il fattore.
La festa, che si svolgeva nelle campagne, alla fine del raccolto del granturco e alla quale partecipavano sia i contadini che gli amici del proprietario del raccolto, è narrata con dovizia di particolari dall’amministratore generale nella sua Description topografique et statistique des Etats de Parme (ms. presso ASP).
Nel dipinto si notano, appese in alto a destra, le pannocchie già “scartocciate”: l’operazione di togliere le foglie che avvolgono il mais si è ormai conclusa e, dopo il pasto offerto dal padrone dei terreni, è il momento di festeggiare sull’aia con musica e canti. La vera protagonista del dipinto è la classe subalterna; i diversi personaggi appaiono indagati con sottile oggettività, la descrizione della scena, avulsa da inclinazioni aneddotiche, propone un brano di vita contadina vero, oltre che uno spaccato delle feste agricole locali. L’atteggiamento di Zoffany nei confronti della scena rispecchia infatti un’apertura tutta illuminista e un’inclinazione quasi scientista evidenziata dalla pennellata fine e minuta con cui sono caratterizzati i volti, le espressioni, gli atteggiamenti dei personaggi. In questo senso un confronto utile può essere instaurato fra la tavola della Galleria e il Banco di frutta a Firenze (1777 circa) della Tate Gallery di Londra, in quanto sono gli unici esempi di come Zoffany si pone nei confronti della pittura di genere, svincolandosi dal decorativismo delle bambocciate.
Briganti, proponendo un parallelo fra la Scartocciata e il John Cuff con il suo assistente (1772) di Kensington Palace, evidenzia proprio l’aspetto empirico e analitico tradotto dalla pittura di Zoffany e da quella preromantica di altri artisti inglesi, che rivelano una rottura nei confronti della cultura figurativa tardobarocca.
La Scartocciata s’impone per la sua peculiare realtà linguistica tutta costruita sulla verità espressiva, sull’adesione al dato oggettivo, ma senza alcuna inclinazione verso il pauperismo. Come sottolinea la Fornari Schianchi si tratta di un “linguaggio nuovo e dissonante nella cultura della seconda metà del secolo tutta destinata all’ossequio ducale e alla devozione religiosa”. L’attenzione di Zoffany, raffinato esecutore di conversation pieces per l’aristocrazia inglese e di aulici ritratti ufficiali, si rivolge in questo caso al mondo popolare, ai costumi, alle usanze dei ceti subalterni raffigurati con la consumata abilità del ritrattista, la puntigliosità della pittura nordica e adattando lo stile in maniera intelligente e versatile alla particolare tematica affrontata. La presenza dell’architetto Petitot, defilato sullo sfondo del dipinto, ma propugnatore in ambito ducale delle istanze illuministe e internazionali più moderne, pare significativa proprio per quegli aspetti filosofico-culturali che sembrano unire ideologicamente i due artisti nella temperie culturale del ducato governato da Don Ferdinando.