- Titolo: Iscrizione funeraria con figura
- Autore: Anonimo
- Data: XIII-XIV secolo
- Tecnica: Bassorilievo
- Dimensioni: 16 x 25,5 x 8,5
- Provenienza: Ignota
- Inventario: GN1832
- Genere: Scultura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Dal Medioevo a Leonardo Ala Ovest
Il pezzo, che presenta il verso scheggiato ma finito, è a forma di settore di cerchio, avendo i due lati obliqui che formano un angolo retto e la base ad andamento curvilineo. La cornice è eseguita in modi diversi: sui lati è a sezione rettangolare, mentre nella base ha lo sguscio inclinato verso l’interno. Al centro è scolpito un busto, probabilmente maschile, con folti capelli e camicia con scollo rettangolare e morbide pieghe sul petto. Sui due lati della figura si svolge l’iscrizione funeraria. La cronaca (Flaminio da Parma 1765) e la critica, poi, contribuiscono a completare queste notizie e a definire i riferimenti culturali del lapicida. Il capitello lascia il monastero nel 1753 in occasione dei lavori di risistemazione dell’antica chiesa, anche se un primo intervento di restauro era avvenuto già nel XV secolo, quando i francescani erano subentrati alle monache. È rintracciato qualche anno dopo presso uno scalpellino di Casalmaggiore, che lo usa come mortaio; nel 1898 è acquistato a Fontanellato da Luigi Pigorini, che lo dona al Museo d’Antichità di Parma e da qui, negli anni Sessanta, passa alla Galleria Nazionale.
La cornice piatta che corre lungo i lati è rifinita nella parte superiore con un’arcatura trilobata decorata con due gigli. La figura femminile al centro ha i capelli raccolti in trecce e una corona a fascia, indossa una lunga veste trattenuta in vita e fittamente pieghettata e un mantello fermato sul petto, tiene la mano destra alzata in atto benedicente, mentre con la sinistra regge un libro. Ai suoi lati due figure più piccole sembrano reggerle il mantello; infine, alle estremità, due oranti inginocchiati tendono le mani congiunte nell’atto della preghiera.
La lastra, inedita, sembra essere di reimpiego; infatti l’uso del marmo, che contrasta con la qualità di esecuzione della figura, la finitura del verso, la disuguaglianza delle cornici e il fatto che i lati formano un angolo retto, porta a ritenere che sia stato utilizzato il frammento angolare di una lastra, probabilmente di età romana, ruotandolo e stondando approssimativamente la frattura. Dopo questa operazione, con ogni probabilità è stata eseguita la figura, abbassando la superficie e contestualmente sono state incise le lettere. La qualità di esecuzione della figura, l’abbigliamento e le corrosioni su parte del volto non permettono una lettura ottimale e neppure consentono di stabilire confronti certi. L’andamento delle pieghe della camicia, che sembrano indicare il rilievo dei seni, potrebbe far pensare a una figura femminile, identificazione che tuttavia è decisamente negata dal contenuto dell’iscrizione. Infatti chi ha inciso le lettere, anche se non era l’esecutore del busto, era senza dubbio consapevole che il ritratto rappresentava una figura maschile. Del resto non vi sono prove che l’iscrizione sia stata aggiunta in un secondo tempo al pezzo già scolpito; infatti il suo snodarsi irregolare, con la stessa parola divisa su più righe, sembra dettato dalla forma obbligata del pezzo e non dalla preesistenza di una figura più antica.
È dunque nell’iscrizione che si possono cercare i supporti per una datazione e soprattutto nella presenza di quel Giovanni Torriani, che, prima di tutto esclude una cronologia altomedievale per questo pezzo. Il cognome Torriani, o della Torre, rimanda alla famiglia lombarda che fra la seconda metà del ’200 e l’inizio del ’300 contese ai Visconti la supremazia e il dominio di Milano.
Presupponendo che il materiale confluito alla Galleria Nazionale provenga principalmente dall’area parmense e piacentina, è in quest’area che si sono cercate testimonianze di questa famiglia, la quale però non risulta attestata nel Medioevo in Emilia occidentale. Numerosi furono tuttavia i rapporti tenuti dai Torriani/della Torre lombardi con Piacenza, rapporti che assunsero particolare intensità nella seconda metà del ’200 in relazione con l’importante figura di Alberto Scotti. Negli anni 1307-1309 quest’ultimo esponente guelfo favorì, non senza qualche incertezza, la signoria su Piacenza di Guido della Torre, da poco divenuto signore di Milano. Con la signoria retta dal vicario Passerino della Torre, vi fu una forte presenza dei Torriani in territorio piacentino, che ebbe il suo epilogo nelle devastazioni operate da Franceschino e Simone Torriani (1309). Il successivo sopravanzare della potenza viscontea in Emilia limitò notevolmente le presenze dei Torriani nelle terre di nuova conquista e, con la definitiva acquisizione di Piacenza da parte dei Visconti nel 1336, i della Torre scomparvero dalla scena politica e dalle cronache.
A quegli stessi anni (tra la fine del XIII secolo e i primi decenni del XIV secolo), a cui sembra ricondurre anche l’esame paleografico dell’iscrizione, potrebbe risalire l’esecuzione di questo pezzo, forse posto su di un muro in corrispondenza della sepoltura di Giovanni Torriani, presumibilmente esponente minore della famiglia “piacentina”.