- Titolo: Interno di un bosco con viandanti
- Autore: Giuseppe Drugman
- Data: 1839
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 59 x 72
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: Inv. 276
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Figlio di Amalia Bianchi e di Nicola, discendente da una famiglia di falegnami e intagliatori provenienti dalle Fiandre, egli stesso falegname al servizio della duchessa Maria Luigia, Giuseppe Drugman seguì i corsi di Paesaggio tenuti da Giuseppe Boccaccio nella locale Accademia di Belle Arti, per perfezionare la propria formazione con un soggiorno di studio a Roma. A Parma la cattedra di Paesaggio fu istituita – come è noto – per volere sovrano di Maria Luigia che chiamò a ricoprirla il Boccaccio, allievo di Salvatore Balzari. Caposcuola dei paesisti parmensi, il Boccaccio impresse con successo, al suo corso, l’indirizzo dello studio dal vero, lui che possedeva solide competenze prospettiche finalizzate non a un vedutismo di ottica razionalista, bensì a una rasserenante pittura di Paesaggio. Oltre al Drugman, si formarono alla sua Scuola Giuseppe Alinovi e Antonio Donati.
“Non mediocre talento” come lo definì Paolo Toschi, che lo avvicinava per assiduità dell’impegno all’Alinovi e al Donati (AABAPr, cartella 1831), questo “discreto paesista non indegno allievo di Giuseppe Boccaccio” (Quintavalle 1939), in realtà si rivela pittore di un certo interesse nel pur limitato panorama locale.
Nel 1836 ottenne il Gran premio di Pittura nella sezione Paese. Il 7 marzo di quell’anno l’Accademia parmense aggiudicò il premio con “molte… lodi” alla sua Caccia al cervo (Parma, Accademia di Belle Arti) (Scarabelli Zunti, fine del XIX secolo). Il successo del concorso accademico gli garantì il pensionato a Roma per diciotto mesi, a partire dal gennaio 1837 (Battelli 1936). I vincitori del gran premio della sezione di Paese avevano l’obbligo di inviare all’Accademia, entro i primi nove mesi di soggiorno, dipinti a olio, tre studi di architetture, “ruine e piante, traendoli dal vero” e nel secondo periodo una veduta “presa da natura” (la citazione è in Cavalieri Maucci 1980, p. 248). Come dire, vedute dipinte sur nature, con un procedimento di matrice accademica che trasferiva all’esterno la pratica antica del dipingere dal vivo. Negli anni fra ’700 e ’800 lo studio dal vero, della natura dal vivo, divenne sistematica, regolare (cfr. al proposito In the Light of Italy… 1996).
Il Drugman inviò a Parma come saggi la Veduta dell’Isola Tiberina, la Veduta del Colosseo, Sortita da Albano (1837-38) (Parma, Accademia di Belle Arti), Strada presso le mura di Roma (Parma, Galleria Nazionale) (Ricci 1896, p. 361) identificabile quest’ultima con Parte della galleria superiore da Albano a Castello di cui il pittore parla in una lettera a Paolo Toschi (18 dicembre 1837) (Mendogni 1992); La quercia del Tasso (Parma, Museo Glauco Lombardi).
Opere, quelle romane, ampiamente intrise dell’attenzione che il pittore rivolse ai pittori dell’ideale classico del Paesaggio. Come dire, Claude Lorrain, Nicolas Poussin e anche Salvator Rosa. Del resto, lo annota con precisione nel diario romano, a Roma “ho veduti parecchi Poussin, un piccolo Claudio… tre Salvator Rosa, un Both, quattro Orizzonti” (Battelli 1936, pp. 171-172). Drugman amava la pittura di Jan Frans van Bloemen, l’Orizzonte, pittore di antichi silenzi e perduti tempi, il fiammingo che peregrinando per la campagna romana amava prendere le distanze da Roma e dalle sue piazze, che lasciava a van Wittel, privilegiando la natura e gli alberi. Sullo sfondo, i monumenti antichi di Roma, ripresi da notevole distanza, quale complemento paesistico.
Anche gli spunti ai paesi del Drugman vennero dalla pittura di Paesaggio romana, di Poussin e di Claude, dell’Orizzonte e, sulla lunga distanza, dai paesaggi ideali di Annibale Carracci e del Domenichino.
Recenti e puntuali ricostruzioni biografiche riferiscono che l’artista rientrò a Parma nell’estate del 1838 (Mendogni 1992, p. 722; Colla 1995), anche se il Ricci, lo Scarabelli Zunti, e l’Inventario generale riferiscono che nel 1839 il Drugman risiedeva ancora a Roma, da dove inviò all’Accademia cinque tele, fra le quali il Quintavalle ipotizzava anche la tela in esame (Pigorini 1887, p. 30; Ricci 1896, p. 361; Scarabelli Zunti fine del XIX secolo; Quintavalle 1939).
“Notevole per la calda intonazione” (Quintavalle 1939), il dipinto, quasi uno studio di foresta, rappresenta un bosco di alberi frondosi, attraversato da un sentiero che scende da destra e giunge in prossimità di un lago. Il soggetto, di chiara derivazione francesizzante, è strutturato sull’orizzontale. Un bosco rigoglioso, con raffinatissimi dettagli di fronde e di luci, intelligente risultato di una felice stagione di studio documentata da numerose prove, è arricchito dall’episodio figurato.
Lungo il sentiero sono ritratte tre figure, un uomo elegantemente abbigliato a cavallo, una donna su un mulo che un contadino pare incitare al passo, prove documentarie di un’attenzione al reale che ebbe riscontri in numerosi “paesaggi animati”, da Antonio Marinoni a Ippolito Caffi. Ma il protagonista del dipinto del Drugman restano il bosco, il contesto di piante, di verde e di acqua di reminiscenza classica. Non una veduta urbana dunque, bensì una scena boschiva, un paese “incantato” che la preziosa tessitura cromatica eleva a Eden remoto. Elementi della natura ampiamente rivisitati dal pittore con una squisita sensibilità atmosferica e cromatica, che nulla concede alle minute figure se non in termini di colorati complementi.