- Titolo: Interno della chiesa di San Pietro martire durante il conferimento degli Ordini di San Michele e del Santo Spirito all’Infante Don Ferdinando
- Autore: Antonio Romagnesi
- Data:
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 90 x 67
- Provenienza: Guardamobile ducale; Accademia di Belle Arti dal 1865
- Inventario: Inv. 485
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Il dipinto, complessivamente in buono stato di conservazione, raffigura il conferimento dell’Ordine equestre di San Michele e del Santo Spirito all’Infante Don Ferdinando, all’epoca undicenne, fatta dal duca Don Filippo il 25 agosto 1762, nella chiesa domenicana di San Pietro martire eretta nell’angolo nordorientale del cortile pubblico del Palazzo della Pilotta e distrutta nel 1813 (cfr. Donati 1824, pp. 145-146; ed. presso la Soprintendeza BAS di Parma e Piacenza con annotazioni manoscritte). Proveniente dal Guardamobile ducale, passò nel 1865 nella quadreria dell’Accademia di Belle Arti (Nota… 1865, carpetta P, c. 1A, n. 48).
Dell’opera si è sempre sottolineato a ragione più il valore documentario che artistico. Commenta il Martini nel 1872: “a questa pittura darebbe importanza il presentarci memoria d’una chiesa che fu bella ed ora è distrutta, se per gli addobbi, onde figurasi coperta non nascondesse il meglio di ciò che si vorrebbe considerare”. Sul valore di memoria storica del dipinto insiste il Ricci che nel catalogo del 1896, trascrive accuratamente la legenda a rimandi alfabetici dipinta sul pavimento. Dall’iscrizione si apprende che alla cerimonia parteciparono i più bei nomi della nobiltà locale e d’oltralpe. Un ruolo di primo piano dovette avere il Du Tillot, influente ministro e segretario di Stato, raffigurato sotto il baldacchino alla destra di Don Filippo, impettito nella elegantissima marsina, mentre indica con gesto magniloquente al riguardante l’Infante inginocchiato.
Pochissimo sappiamo circa la vita e la produzione del Romagnesi. Le uniche notizie riportate dalla letteratura riferiscono che nato in Francia da genitori italiani, fu allievo di Robert Levrac, detto Tournèrier (1668-1752) e morì probabilmente nel 1770; non fanno accenni ad altre sue opere. Di lui Bédárida (ed. 1985, II, p. 635) scrive che, seppure dotato di minore talento, rappresentò a Parma con Giuseppe Baldrighi “certe tendenze dell’arte francese”. L’affermazione si giustifica nella comune attenzione che i due pittori mostrano per problemi “d’esclusiva natura visiva” (Riccomini) e si chiarisce – nell’impossibilità di proporre ulteriori confronti – misurando lo scarto esistente fra il dipinto in esame e la nota serie di tele commissionate un quarantennio prima allo Spolverini dal duca Francesco per celebrare le nozze fra Elisabetta Farnese e Filippo V di Spagna, in particolare con la tela che rappresenta la Cerimonia avvenuta nel Duomo di Parma (Parma, Municipio) le cui soluzioni verranno adottate dallo stesso Gian Paolo Panini (Arisi 1979, p. 38).
Ritornano, secondo stilemi ormai codificati, assieme alla puntuale descrizione dell’evento festivo con la precisa indicazione dei presenti, l’ampia impaginazione della scena, qui enfatizzata dal profondissimo taglio prospettico per angolo, e l’idea di un colore dominante che “dilaga un po’ dappertutto” ed esalta il fasto dell’allestimento. Ma tutto è diversamente controllato entro rigidi canoni di lucida trasposizione ottica del reale, cristallizzato in un’atmosfera pacata, di diffusa luminosità. Le tinte sono attenuate, il segno alleggerito. Ai rossi subentrano i rosa, i bianchi divengono madreperlacei, l’argento prevale sull’oro, la pennellata corposa e guizzante s’assottiglia e indugia con consumato mestiere nella descrizione dei materiali: quasi tattile è la resa della pesantezza del raso bianco del baldacchino, della morbidezza dei pennacchi piumati, della consistenza dei fili metallici con cui è ricamata l’iscrizione sullo stendardo appeso alla volta e sono guarniti i sontuosi drappi che decorano le pareti della navata.
In sintonia con il generale orientamento verso il gusto francese che caratterizzò la cultura artistica parmense nella metà del secolo, è inoltre la cornice coeva finemente intagliata che impreziosisce il dipinto; sormontata dallo stemma borbonico con duplice collare degli ordini e Toson d’oro costituisce un significativo documento del precoce Neoclassicismo favorito in territorio ducale dall’architetto Ennemond-Alexandre Petitot (cfr. González Palacios 1986, pp. 207-208; Colle, in Sabatelli 1992, pp. 314-315, n. 113).