- Titolo: Infanta Maria Antonia Fernanda
- Autore: Anonimo
- Data: 1750-1760 ca.
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 84 x 64,5
- Provenienza: collezioni ducali; in deposito presso la Federazione Italiana Studi per l’Amministrazione di Milano; restituito dalla Soprintendenza ai Monumenti di Milano alla Galleria nel 1973
- Inventario: Inv. 2067
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Il dipinto, proveniente da una delle residenze ducali parmensi, fu trasferito a Milano dopo l’Unità d’Italia, dove rimase presso la sede della FISA fino al 1973, anno in cui fu restituito alla Galleria Nazionale di Parma.
Registrato nell’Inventario generale come “Ritratto di Madama Teresa, figlia del Re di Polonia”, la dama effigiata è invece da identificarsi con l’Infanta Maria Antonia Fernanda, ultima figlia di Filippo V ed Elisabetta Farnese, nata a Siviglia nel 1729.
Fallito il tentativo di maritarla con il Delfino di Francia, vedovo della sorella Maria Teresa, nel 1750 ella andò in sposa a Vittorio Amedeo III duca di Savoia, principe di Piemonte e, dal 1773, re di Sardegna. Donna di grande fede e profonda religiosità l’Infanta Maria Antonia impose alla Corte sabauda il rigido cerimoniale spagnolo, instaurando un clima di solenne austerità.
Al Palazzo Reale di Torino si conserva un ritratto giovanile della duchessa, dipinto subito dopo le nozze da Domenico Duprà, ritrattista ufficiale della famiglia Savoia, del quale esistono anche alcune repliche: una, di mano del medesimo autore, è conservata al Prado di Madrid, mentre un’altra, anonima, si trova al Palazzo Nazionale di Queluz a Lisbona.
Rispetto a queste opere il quadro della Galleria Nazionale di Parma è certamente di alcuni anni successivo; Maria Antonia appare infatti più matura, come la si vede nel ritratto allegorico col figlio primogenito Carlo Emanuele, del 1755, o meglio ancora nella grande tela raffigurante l’intera famiglia reale, databile fra 1759 e 1760 per la presenza del piccolo Vittorio Emanuele (1759) e la mancanza invece di Maria Cristina Giuseppa, nata nel novembre del 1760.
Nessuno dei due dipinti costituisce tuttavia un diretto modello di riferimento per questo quadro, in cui Maria Antonia appare raffigurata a mezzo busto su di uno sfondo scuro, con il viso rivolto verso lo spettatore e con indosso un abito a fiorami variopinti, impreziosito nella scollatura da una trina in pizzo con una minuta applicazione in metallo dorato.
Il pesante manto in velluto foderato di ermellino che le circonda le spalle è l’unico attributo che manifesta l’alto rango del personaggio, sottolineandone la regalità.
Notevoli analogie si riscontrano piuttosto con un’immagine di Jacopo Amigoni, pittore veneto attivo alla Corte di Madrid dal 1748 al 1752, che egli eseguì probabilmente prima del matrimonio dell’Infanta e della sua partenza dalla Spagna come conferma l’età giovanile della dama. La veste che ella indossa ha, tuttavia, la stessa foggia del ritratto di Parma; il disegno floreale del tessuto appare infatti molto simile e identico è il motivo del pizzo che orla la scollatura e le maniche dell’abito.
Vi compaiono tuttavia anche alcune differenze significative, rilevabili, oltre che nell’età della donna ritratta, nella presenza di due putti che le portano fiori. Nell’opera di Amigoni si evidenzia, inoltre, una maggiore attenzione ai dettagli e una più intensa ricerca espressiva; lo sguardo brillante e il sorriso lieve e appena accennato fanno di questo ritratto un’immagine di aggraziata e composta femminilità, resa più manifesta dalla delicatezza del gesto con cui Maria Antonietta accetta l’omaggio floreale che i putti le recano.
Nel dipinto della Galleria Nazionale il personaggio mostra invece un atteggiamento più statico, reso più rigido dalla posizione delle braccia, serrate lungo i fianchi e nascoste dal manto regale.
Una posa che può forse giustificarsi supponendo l’esistenza di un’antica cornice ovale, di dimensioni più ridotte rispetto a quella attuale, ipotesi che può trarre conferma dalle numerose tracce di stuccature, che circondano l’immagine, incorniciandola.
Si tratta dunque dell’opera di un anonimo artista settecentesco, che si ispira a modelli più celebri senza raggiungere risultati degni di particolare interesse, come dimostra la resa piuttosto sommaria dei particolari dell’abito e del disegno del tessuto, poco definito e impreciso. Anche la descrizione fisionomica risulta poco efficace: l’espressione della donna appare vaga e poco caratterizzata e risulta dunque difficile individuarne la personalità.
Dal punto di vista tecnico l’artista utilizza una pennellata veloce e un colore piuttosto tirato, che si fa più denso e materico solo nei particolari decorativi, come i pizzi e i gioielli, mentre nello sfondo sfrutta la preparazione rossiccia della tela per variare l’effetto di luce, facendola trasparire al di sotto del colore grigiastro del fondo, in modo da dare maggior risalto alla figura dipinta.
Il restauro conservativo appena completato ha ripulito il quadro, liberandolo dalle sovrapposizioni e dalle tracce di stuccature di un antico intervento: i colori appaiono dunque più brillanti senza tuttavia apportare modifiche sostanziali al tono complessivo del dipinto.