Il tema raffigurato ricalca il motto “Veritas filia Temporis”: una giovane fanciulla, la Verità, tiene fra le mani il sole, simbolo di luce sulle cose, e la clessidra, emblema dello scorrere del tempo sul mondo; al suo fianco il Tempo, un vecchio alato, si impone con forza su una terza figura, appena abbozzata, presumibilmente raffigurante l’Insidia.

Durante il restauro del 1989 si è scoperto che il quadro, senza dubbio un bozzetto, era stato in antico incollato su una tela raffigurante una Natura morta, ora conservata separatamente dall’immagine soprastante (cfr. inv. 919/20b, scheda n. 619). In quell’occasione, sul retro della scena allegorica apparve un’iscrizione frammentaria, tracciata a penna, di cui si poté leggere con chiarezza solo la parola Napolit e l’anno 169…, che, in occasione della mostra dedicata al collezionismo fidentino, Ponzi intese interpretare come firma del pittore napoletano Paolo de Matteis. Più che dall’iscrizione, la proposta attributiva nacque dall’analisi del testo pittorico, in parte abraso e lacunoso, ma sufficientemente integro nelle figure e nel disegno delle pieghe dei panneggi, per trovare connessioni con soluzioni decorative di marcata dipendenza da modelli del Solimena; formule che furono esempi anche per Paolo de Matteis, esponente della cultura barocca napoletana, allievo di Luca Giordano, che, dopo esperienze marattesche in ambito romano, allacciò significativi contatti con ambienti internazionali lavorando lontano da Napoli. Il confronto con il catalogo di quest’artista (Spinosa 1993, pp. 47-92) non ci porta però a condividere tale attribuzione. Sembra inoltre poco plausibile l’ipotesi avanzata da Ponzi, di un suo contatto con committenze fidentine, anche se nella Cattedrale di Fidenza la tela con il Martirio di sant’Andrea di Gerolamo Cenatempo testimonia effettivi legami artistici della cittadina emiliana con l’ambito napoletano.

Risulta per lo meno difficile pensare che l’autore del bozzetto sia l’anonimo pittore che eseguì il dipinto murale con un soggetto analogo sul soffitto di Palazzo Omati a Fidenza; decorazione molto offuscata dal degrado, in cui, se pur ritroviamo riproposta la felice idea compositiva della nostra tela – con varianti nella disposizione dei personaggi – lo spazio e i volumi sono risolti con una diversissima e più ingenua sensibilità pittorica, che nell’espressione del volto del Tempo diviene quasi caricaturale. È probabile che circolassero disegni di una simile invenzione o che il debole artista – forse quel cremonese Bernardino De Ho che in Palazzo Omati aveva lasciato delle tele (Ponzi 1988, pp. 14-17; Tanzi 1999, pp. 28-30) – abbia inteso servirsi del bozzetto solo per i volumi delle figure. Indubbiamente la piccola tela è ben altra cosa dei passaggi netti dei piani chiaroscurali del soffitto, con la luce che vibra nel cielo, costruito con una tavolozza cromatica chiara, tutta su toni violacei, azzurri e gialli, dati velocemente, con sicurezza di mano e abilità di disegno nel creare ombre sfruttando la base rossa della preparazione.

L’autore della tela è comunque da ricercare nella cultura napoletana, ormai in chiave rococò tanto da far pensare alle soluzioni adottate da De Mura, se fosse possibile ignorare la data, per lui troppo precoce che compare sul retro, e tanti sono gli elementi, sia stilistici che cromatici che avvicinano questo bozzetto ad altre invenzioni analoghe di Domenico Antonio Vaccaro, sensibile artefice del rinnovato panorama figurativo del ’700, che già sul finire del secolo precedente aveva dimostrato di anticipare – come sostiene Spinosa (1981, 1993) – “la maniera pittoresca e bizzarra” di Giacomo del Po, pittore prezioso e raffinato di grandi effetti luministici. In particolare ci sembra che il confronto con il Vaccaro, il cui nome potremmo con un po’ di fantasia leggere anche fra le lettere frammentarie dell’iscrizione, sia da sostenere, anche per la tipologia degli angioletti che ritornano identici nel bozzetto a lui riferito conservato nella collezione Molinari Pradelli (Volpe 1984, p. 146), nonché ritrovare assonanze nel disegno delle pieghe dei panneggi, come si può ben confrontare nei due olio su rame della collezione Riechers (Spinosa 1993, pp. 80-81, 147). Il Vaccaro, durante il giovanile soggiorno romano, poté forse venire a contatto con il bizzarro Bernardino De Ho, che dopo la formazione presso Angelo Massarotti visse per lungo tempo a Roma, prima di ritornare a Cremona e in Emilia e questa loro comune presenza romana sul finire dell’ultimo decennio del ’600 potrebbe giustificare le interferenze riscontrate nella decorazione di Fidenza.

Bibliografia
Ponzi 1988, pp. 12-13
Restauri
1987 (M. Papotti, Lab. Sopr. BAS Pr e Pc)
Mostre
Fidenza 1988
Scheda di Mariangela Giusto, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.