• Titolo: I santi Francesco e Chiara, e angeli sulle nubi
  • Autore: Anonimo parmense
  • Data: fine XVI inizi XVII secolo
  • Tecnica: Olio su tela
  • Dimensioni: cm 225 x 153
  • Provenienza: Parma, chiesa di Sant’Anna ovvero Beata Vergine delle Grazie
  • Inventario: GN s.n.
  • Genere: Pittura
  • Museo: Galleria Nazionale
  • Sezione espositiva: Deposito

Un verbale di consegna del 23 novembre 1927 firmato dal direttore della Galleria Nazionale Antonio Sorrentino elenca una serie di opere di proprietà della congregazione della Carità (oggi soppressa e assorbita dall’azienda ospedaliera di Parma) affidate in deposito alla Galleria, tra cui figura anche “un quadro ad olio del Badalocchio” con “Santa Chiara, San Francesco e angeli sulle nubi”.

In una minuta precedente, datata il 24 ottobre dello stesso anno si viene inoltre a conoscenza che tale quadro proveniva dalla soppressa chiesa di Sant’Anna, situata sull’antica via Claudiana, non lontano dal luogo in cui si trovava l’anfiteatro romano, cioè lungo l’attuale strada al collegio Maria Luigia.

A questa chiesa, la cui esistenza è documentata già a partire dal XIII secolo, era annesso un convento di monache cistercensi, che verso la metà del ’400 (1442, 1444 o 1447 a seconda delle fonti) fu ceduto alle terziarie francescane, poi trasformate in clarisse, le quali fra il 1454 e il 1455 ampliarono il convento e ricostruirono la chiesa, intitolandola a Santa Maria delle Grazie, forse per la presenza di un’immagine miracolosa della Madonna.

Mentre il convento, soppresso in epoca napoleonica e trasformato in ospizio e poi in ricovero per i poveri, era già quasi interamente demolito agli inizi del secolo, la chiesa fu completamente distrutta da un bombardamento nel 1944.

Di dimensioni piuttosto ridotte, era composta da un’unica navata e tre altari, di cui il maggiore di fronte all’ingresso e i due minori nelle cappelle laterali, “l’una dipinta ad ornato e l’altra ad architettura”, su uno di essi poteva dunque trovarsi il nostro quadro.

Nessun documento consente tuttavia di poterlo affermare con certezza; l’opera non compare neppure nelle guide più antiche della città di Parma, forse perché la chiesa – come riportato da Scarabelli Zunti – fu “al suo interno… tutta mutata dai maestri che nella seconda metà del seicento pretesero abbellirla”; le pareti furono ridipinte da un alunno del Bibiena mentre la pala dell’altare maggiore raffigurante la Vergine, con i santi Giovannino, Francesco, Chiara e Caterina d’Alessandria, commissionata dalla badessa Alba Fiorita Tarozzi fu eseguita da un “mediocre pennello del seicento”.

Al momento di questi cambiamenti il quadro, ascrivibile al più tardi all’inizio del XVII secolo, potrebbe essere stato rimosso e posto in sagrestia o in qualche altra stanza del convento, perdendone così ogni memoria. Se il soggetto appare perfettamente consono al luogo a cui era destinato il dipinto, più difficile appare l’identificazione del suo autore; assegnato dubitativamente a Badalocchio nella minuta dell’ottobre 1927, l’attribuzione viene invece confermata con certezza sul verbale ufficiale di consegna alla Galleria.

L’opera, recentemente restaurata, si presentava fino a poco tempo fa in pessime condizioni, ridipinta in più parti e ricoperta da una vernice giallognola molto resistente, frutto probabilmente di un intervento ottocentesco, che ne rendeva opachi i colori non consentendone un’adeguata analisi stilistica. Sul retro della tela inoltre comparivano tracce di strappi chiusi da toppe e stuccature che hanno provocato una forte scodellatura della pellicola pittorica originale.

Dopo la pulitura e la reintegrazione delle lacune di superficie la materia cromatica appare ora piuttosto vivida e luminosa; nella parte alta del quadro, in particolare, i colori giocati sulla gamma del rosa, dell’azzurro e del giallo sono stesi per sottili velature sovrapposte su un fondo privo di preparazione, realizzato con una leggera stesura cromatica nei medesimi colori. Nella parte bassa del quadro la pennellata si fa più densa e corposa ma la tecnica procede sempre in modo veloce, abbozzando direttamente sulla tela, senza un disegno preparatorio sottostante.

Il risultato prodotto appare molto diverso rispetto agli esiti della pittura di Badalocchio, formatosi sul morbido sfumato correggesco, arricchito successivamente dalla lezione della scuola bolognese dei Carracci e di Lanfranco. L’impostazione piuttosto tradizionale della scena, con i due santi inginocchiati per terra, disposti simmetricamente in atto di contemplare l’ostensorio che il putto mostra loro sulle nubi e il trattamento dei personaggi rivelano con chiarezza una cultura di gusto ancora tardomanierista.

Alcuni elementi stilistici paiono confermare l’appartenenza di questo ignoto artista alla tradizione figurativa locale, come ad esempio la tipologia dei volti, dai contorni torniti e gli occhi tondeggianti, definiti però in modo alquanto sommario dal punto di vista fisionomico. Anche il volume dei personaggi è schematico e poco individuato, avvolti come sono da un rigido panneggio che li racchiude in se stessi; Santa Chiara mostra tuttavia il tentativo da parte dell’autore di articolare con più ampiezza la figura nello spazio circostante, sottolineando l’atteggiamento di incredula sorpresa causato dall’apparizione dell’angelo anche tramite il movimento del velo. La piccola veduta dai toni più chiari e luminosi che si scorge in lontananza fra i due santi aumenta la profondità della scena, così che per contrasto i protagonisti, in primo piano, nei loro abiti scuri acquistano un maggior risalto plastico. Questo episodio paesistico richiama suggestioni di derivazione nordica, comuni nell’ambiente parmense di questo periodo per la presenza dei numerosi artisti fiamminghi attivi presso la Corte ducale, a cui risale anche la resa puntuale e minuziosa del dato naturalistico in primo piano.

Bibliografia
Inedito
Restauri
1999 (Lab. Restauro Dipinti)
Scheda di Carla Campanini, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.