- Titolo: Golfo di Napoli
- Autore: Pierre Tetar van Elven
- Data: 1855
- Tecnica: Olio su tavola
- Dimensioni: 45 x 61
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti, donato dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1863
- Inventario: Inv. 114
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Incerto resta il luogo di nascita di Pierre Tetar van Elven variamente indicato in Molenbeck e in Amsterdam. L’artista olandese è documentato a Napoli sulla metà dell’800 quindi a Torino ove morì nel 1896. Di non grandi dimensioni, la tavola fu donata alla Pinacoteca dal Ministero della Pubblica Istruzione il 14 febbraio 1863 (Ricci 1896). Il dipinto ripropone uno dei topoi figurativi più frequentati della pittura di paesaggio napoletana, meta di numerosi viaggiatori, ripreso da artisti napoletani e stranieri.
La scena raffigura una veduta del Vesuvio fumante, in primo piano due figure danzano la tarantella. Il tema dell’eruzione del Vesuvio, la cui attività fu quasi permanente in quegli anni, affascinò gli artisti italiani e stranieri che affollavano numerosi la città partenopea fin dal ’700. Ma il Vesuvio dipinto dall’artista olandese è rappresentato a una distanza tale da apparire maestoso ma non terrifico, ed esclude qualsiasi intenzione di oggettività documentaria. Riflessi dorati, toni di una tavolozza mediterranea, offuscati sulla prospettiva più lontana e attorno all’agglomerato urbano, qualificano quest’opera, che ritrae una natura studiata in funzione rappresentativa e non come riflesso emotivo di una realtà obiettivamente considerata. I due pini fungono da arcoscenico e l’apparato di ingredienti naturalistici – il fico d’India, il masso, l’agave e la calligrafica scena delle figure – rivelano una volontà di rappresentazione scenica all’interno della quale le figure esibiscono atteggiamenti di simulata naturalezza. Quasi esperto bambocciante, Tetar van Elven “buon artista… indefesso viaggiatore e lavoratore” (Ricci 1896) esibisce in questa tavola una profonda conoscenza della figura umana che la qualità pittorica raggiunta non esalta appieno pur nella rinnovata visione del vero. La coppia di popolani che inscena una vera tarantella su una sorta di naturalistica terrazza rocciosa, con scogli accessibili solo dal mare, eco di una sensibilità di tipo romantico, pare mutuata dal repertorio figurativo di Pietro Fabris. Come dire, accuratezza di dettagli, assenza di astrazioni ideologiche. La presenza di una pastorella col bestiame reso con una pennellata più imprecisa – capre e pecore, quasi animali da presepe – aggiunge una nota di fantasia bucolica a questa pittoresca veduta saldamente sostenuta dal colle abitato sulla sinistra. Un ritratto, quello offerto dall’olandese che, nell’ampio taglio orizzontale rispetta i canoni tradizionali della veduta napoletana, e “tra Posillipo e l’ombra del Vesuvio” fornisce l’immagine di una città che conserva qualità e immediatezza di un ritratto dal vero. È questo l’obiettivo perseguito dai pittori lungo l’arco del secolo precedente e ancora nell’800. Ritratto di città effetto del clima prodotto dal nuovo fascino per la solare bellezza del paesaggio campano, dal rinnovato interesse per le esplorazioni archeologiche e per gli eventi vulcanici.
Più che l’evento, dominano le calde vibrazioni azzurro dorate, i verdi delle chiome variamente articolate. Su questo ampio squarcio di paesaggio si distende una solarità tutta mediterranea. I volumi delle fabbriche urbane paiono impronte colorate, volumi in dissolvenza. Il pittore si dimostra capace di intense suggestioni sentimentali nell’esattezza luministica e cromatica che ci consegnano il golfo e i suoi dintorni nella ritrovata serenità del mitico paesaggio campano. I contrasti si risolvono qui in una felice sintesi di verità luministica unita a una nuova esigenza di espressiva atmosfericità. È facile il richiamo alle nuove ricerche in corso alla Scuola di Resina che ebbe in G. de Nittis uno dei protagonisti.