Entro la “luce” del fondo – delimitata da una duplice cornice ocra e nera – Vergine e Bambino sono raffigurati nella tipologia bizantina della Glykophilousa (Rothemund 1966), una Vergine della tenerezza la cui espressione lirica è concentrata nello sguardo.

L’immagine più arcaica oggi conosciuta, simile nell’iconografia, è la Vergine di Vladimir della Galleria Tretyakov a Mosca, riferibile anche a una tipologia imperiale che ha poi avuto in Russia evoluzioni ulteriori (Felicetti-Liebenfels 1972).

Il grande nimbo della Vergine, profilato in rosso al pari di quello del Bambino, esce dai limiti del fondale d’oro raccordando visivamente l’intera superficie della tavola.

Non più riconducibili alla scuola Stroganov (Quintavalle 1939a) o a quella di Novgorod (Bettini 1940), rispetto al canone bizantino si evidenziano nelle vesti dei personaggi i toni ambrati e oro su oro, innervati da lumeggiature rosse e dal nero delle sottili pieghe del manto, trasparenze dorate caratteristiche a partire dalla metà circa del XVIII secolo della scuola di Mosca (Dell’Agata-Popova 1978), pur presenti con maggiore densità e contrasto cromatico anche ad esempio in ambito tessalonicese (AA.VV. 1997). L’occhio a mandorla ben rilevata (Bloch-Diener 1972), le buone proporzioni interne e reciproche delle immagini e i ritmi delicati permettono di ipotizzare non tanto una tarda imitazione (Rizzi 1976), quanto una autonoma redazione di ambito russo (Kutschinski-Poetter 1991) del tardo XVIII secolo.

 

Scheda di Patrizia Angiolini Martinelli tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere dall’Antico al Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1997.