- Titolo: Gladiatore ferito
- Autore: Giovanni Gaibazzi
- Data: 1837
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 175 x 125
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: Inv. 110
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Il dipinto fu inviato nel 1837 come saggio di studio da Roma, e venne giudicato nell’Adunanza privata straordinaria del 14 febbraio assieme a quello di Giocondo Viglioli, suo compagno di pensionato nella capitale, raffigurante Un episodio del Diluvio universale (inv. 727; cfr. scheda n. 992). Il corpo accademico si dichiarò “altamente pago nelle concepite speranze. E guardando poscia, qual de’ due si avesse a reputar prevalente giudicò i vari pregi essere in essi di egual peso per modo, da richiamare uguale ancora la lode” (Atti… 1825-1838, vol. III).
Dell’opera dà notizia la “Gazzetta di Parma” dell’11 febbraio 1837 che spiega ai lettori come il combattente sia “rappresentato affatto ignudo, seduto su d’un sasso, esprimente gli spasimi prodotti dalla ferita. Bel carattere di gladiatore; gagliarda e naturale espressione; colorito giusto; alcune mende nel disegno, ma molte parti di un difficilissimo e bellissimo vero. Il signor Gaibazzi, con questo lavoro si è veramente distinto”. Così Scarabelli Zunti, solerte raccoglitore di memorie patrie, ritaglia e incolla nei suoi “Documenti” manoscritti, a testimonianza di quel consenso unanime che guadagnerà alla tela la presenza nella rassegna nazionale di Firenze del 1861, l’incondizionato apprezzamento che il concittadino Marco Bonini, “sincerissimo Ammiratore” non seppe esimersi dall’esprimere in versi: “… L’eccelse forme, ove crucciosa impressa/Morte si sta, di sovruman pensiero/Bell’opra è pur, nel sì leggiadro Impero/Di natura giammai ad uom concessa//Amor,/Pietà di tenerezza in seno/Forte ridesta in chi l’affissa intento,/Tanto d’affetti il suo languore è pieno” (cfr. Scarabelli Zunti, fine del XIX secolo).
Ma a vederla oggi, questa celebrata tela, è sicuramente da considerarsi la più debole fra le opere del pittore parmense che la Galleria conserva. L’insieme è veramente poco convincente: quasi grottesco risulta lo scarto fra la plasticità delle membra, di incerta disposizione spaziale (si veda lo scorcio della gamba destra) e l’espressione di maniera del volto del modello, pateticamente “infastidito” dalla ferita, solo un poco sanguinante. Rimangono le buone doti coloristiche e la finitura accurata, di mestiere, apprezzabili nel brano dello scudo con la spada, semicoperto dal sontuoso panneggio rosso. Una diligenza esecutiva di cui il Gaibazzi aveva già dato prova nella copia tratta dall’opera di un “grande maestro” che d’obbligo doveva essere inviata da Roma. Il pittore si cimentò con la Comunione di san Girolamo del Domenichino. La tela, esposta alla vista del corpo accademico il 28 aprile 1836, fu apprezzata quale attestazione dei “progressi fatti in breve giro di tempo da quel volonteroso alunno” (Atti… 1825-1838, vol. III, pp. 277-278).
Discrete sono nel complesso le condizioni di conservazione del quadro, nonostante si scorgano evidenti ossidazioni della vernice in corrispondenza dello scudo con la spada e il busto sia interessato da una diffusa crettatura da slittamento del colore.