- Titolo: Giuditta che decapita Oloferne
- Autore: Trophime Bigot
- Data: 1620-1634
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 130 x 160
- Provenienza: acquistato nel 1972
- Inventario: GN 1981
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Gli emiliani 1500-1600
- Sezione espositiva: I caravaggeschi in Emilia
Il dipinto fu acquistato per la Galleria Nazionale presso Isacco Eugenio Di Castro, antiquario in Roma (Ghidiglia Quintavalle 1972).
Rappresentazione consueta nella produzione di Bigot, scandita da mezze figure e illuminazione a lume di candela, il dipinto è stato inserito dal Nicolson (1979, 1990) nel problematico catalogo dell’artista arlesiano, caratterizzato da un gran numero di rappresentazioni la cui fonte di luce oscillante e misteriosa è costituita da lanterne, torce, candele.
A Roma sicuramente fra il 1620 e il 1634, citato frequentemente nelle riunioni della Accademia di San Luca dal 1621 al 1629, Bigot è menzionato anche dal Sandrart come autore con “mezze figure in notturno”; è sua una pala d’altare in San Marco a Roma firmata e datata presumibilmente 1634 (Tiberia 1990), sue le sovrapporte indicate nel 1638 nell’inventario della collezione del marchese Giustiniani, una “con la Madonna e Christo Bambino in grembo e San Giuseppe, l’altra con li soldati, che buttano le sorti con dadi sopra veste di Christo”.
Fra il 1634 e 1649-50 lavora in Provenza, fra Arles e Aix-en-Provence (Boyer 1988), e la sua attività in Francia è documentata da pale d’altare datate fra il 1635 e il 1639 (Thuillier 1978). Proprio il confronto fra molti dei dipinti riuniti dal Nicolson (1979) nel catalogo di Bigot e queste ultime pale d’altare francesi, con pieghe e volti marcati e duri induce Cuzin (1979) e recentemente Papi (1998) a proporre una ormai netta distinzione fra Bigot, arcaizzante, “dai panneggi induriti e riecheggianti ancora la cultura di Louis Finson” (Papi 1998), e un da tempo vago e anonimo “maestro del lume di candela” (si veda per questo dualismo Nicolson 1964; Cuzin 1973), cui andrebbero ascritti parte dei dipinti ritenuti di Bigot da Nicolson (si veda per la intricata questione Bigot-Maestro del lume di candela” l’ottima scheda ricognitiva di Papi 1998).
Il nostro dipinto, già acquistato come Bigot dalla Pinacoteca di Parma, viene attribuito anche da Papi al pittore di Arles, accostato stilisticamente a una Negazione di san Pietro in collezione privata francese pubblicata da Cuzin, e distinto dunque dai consimili notturni del “Maestro del lume di candela”, più raffinato, morbido e avvolgente. Il quadro della Pinacoteca di Parma presenta a un primo sguardo un insieme d’effetto fascinoso, ma mostra nei dettagli ingenuità e asprezze che sono mitigate solo dalla luce che confonde e cela. Così è per le vesti di Giuditta, che in genere in quadri dello stesso soggetto sono luogo di esercizio di mestria pittorica, così è per l’espressione bamboleggiante della stessa protagonista. Il caravaggismo di maniera che pervade il dipinto alimentando riferimenti al solito Gerrit van Honthorst, famoso per i suoi notturni e ampiamente imitato anche per richiesta di mercato, trova un momento di particolare felicità inventiva nella lama che costituisce quasi continuazione della barba di Oloferne segnandolo diabolicamente.