- Titolo: Girolamo Savonarola in carcere
- Autore: Ignazio Affanni
- Data: 1862
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 193 x 236
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti (eseguito su commissione del governo nel 1862)
- Inventario: Inv. 105
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
La documentazione archivistica conservata consente di ripercorrere con dettaglio quasi cronachistico la vicenda di questo dipinto: dalla commissione governativa nel febbraio del 1862 (Carteggio… 1862, vol. I) alla sua esposizione permanente nella Galleria dell’Accademia nell’agosto dell’anno seguente (Atti… 1857-1863, vol. VII, 31 agosto 1863).
Nella seduta in cui si collaudò l’ultimo saggio di pensione dell’Affanni, ormai rientrato da Firenze, (cfr. scheda precedente) il collegio accademico segnalò che parte integrante del premio di pensione – secondo le norme vigenti all’epoca in cui il pittore concorse (1859) – era “ricevere al ritorno nell’Accademia la commissione di un’opera, da parte della stessa, per lire 1000” (Atti… 1857-1863, vol. VII, 19 febbraio 1862).
Lo statuto era tuttavia nel frattempo mutato e l’Accademia non disponeva di “un assegnamento” finanziario al riguardo. Si decise così di fare appello alla munificenza del neonato Stato unitario, nella convinzione, espressa con forza, che “un artista dopo aver compiuto interamente i suoi studi e se addimostri capacità non comuni” non debba essere abbandonato.
Nella lettera inviata al Ministero della Pubblica Istruzione, Francesco Scaramuzza, direttore dell’Accademia nonché maestro dell’Affanni, adottò toni accorati e non nascose quanto, in particolare, gli importassero le sorti di questo artista (“solo dirò che l’essere l’Affanni mio allievo mi porge di raccomandarlo vivamente”). L’istanza fu accolta e il pittore pose mano all’opera, che l’Accademia seguì, con solerzia davvero encomiabile, nel suo itinerario esecutivo, dandone puntuale ragguaglio alla committenza: dal bozzetto, alle tappe dell’elaborazione pittorica fino al collaudo, dopo il quale Scaramuzza tornò di nuovo a perorare la causa del pittore presso il Ministero, richiedendo una maggiorazione del compenso (la tela era assai più ampia del previsto e l’Affanni si trovava “in strettezze economiche”). Il riconoscimento di una cifra complessiva di 1300 lire, contro le 1500 richieste, concluse la vicenda (Carteggio… 1862, vol. I). La quale ci pare davvero significativa di come il sostegno all’arte fosse ormai affidato a estemporanei meccanismi assistenziali, messi in atto da un’Accademia svuotata di capacità promozionale, ma tenacemente impegnata a garantire agli allievi quanto meno tutela e protezione.
Tornando al dipinto, possiamo immaginare che il soggetto, non indicato dal Ministero, sia stato suggerito al pittore dal collegio accademico. Dietro la scelta pare proprio di poter leggere la volontà di compiacere la committenza governativa: il Savonarola apparteneva a quel filone dei grandi perseguitati dal dogmatismo cattolico che si era definito tardivamente nell’iconografia romantica con un significato antipapale, legato all’istanza cavouriana di annessione di Roma. L’impetuoso frate domenicano era uno dei protagonisti di questo filone anche per la presenza di una biografia, quella del Perrens, largamente nota (e seguita poi da quella del Villari) che sosteneva la traduzione figurativa del soggetto (Pinto 1974, p. 38). Al Perrens si attiene fedelmente anche l’Affanni narrando gli ultimi momenti del domenicano, quando in carcere si rifiutò di sottoscrivere le parole estortegli con la tortura.
Il dipinto ebbe all’epoca grande successo: partecipò alla triennale di Bologna nel 1863 e il largo consenso ottenuto valse al pittore l’iscrizione come socio d’onore all’Accademia bolognese (Carteggio… 1867, vol. I); nello stesso anno vinse la medaglia d’argento all’esposizione di Parma (Esposizione… 1864) e dieci anni dopo fu tra i dipinti che l’Italia inviò all’Universale di Vienna (Mecenatismo… 1974). Il Rondani (Rondani 1874), in un’acuta analisi del dipinto, già lo descriveva tuttavia come fortemente convenzionale e assai poco convincente dal punto di vista espressivo. Considerazioni che non si possono non condividere: l’invenzione è grandiosa, ma fredda, priva di verità drammatica, pure ricercata negli intensi effetti chiaroscurali; il brano migliore è indubbiamente rappresentato dalla figura del frate accovacciato per terra ai bordi del letto, con quella veste bianca che suggestivamente emerge, come unico punto di chiarore, nel buio della segreta.
Nel 1884, ormai alla fine della carriera e senza mezzi, l’Affanni chiederà alla Pinacoteca di poter recuperare temporaneamente “il suo Savonarola” allo scopo di produrlo a un concorso bandito dall’Accademia Carrara di Bergamo per un posto di professore di Figura : “… nessun raggio migliore in mia vita io più vedrei se mi venisse dato in ciò una negativa…”, scriveva l’artista in una sconsolata lettera (documentazione presso Archivio Soprintendenza BAS di Parma e Piacenza). La richiesta venne respinta e chissà se un minor ossequio alle norme di tutela avrebbe potuto evitare al pittore quel misero destino che di lì a poco lo avrebbe portato a finire i suoi giorni, da alcolizzato, in un ospizio di mendicità.