- Titolo: Gesù condotto al Calvario
- Autore: Anonimo veronese
- Data: Fine del XVI secolo
- Tecnica: Olio su tavola
- Dimensioni: cm 291 x 193
- Provenienza: Parma, oratorio della Croce fino al 1766; ex chiesa di San Pietro martire; in Galleria nel 1812 e depositato nel 1813
- Inventario: GN139
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
È una vicenda curiosa quella che contraddistingue la fortuna critica di questo estroso dipinto che ormai da molto tempo non è tanto considerato dagli studiosi.
Venne nominato per la prima volta da Ruta che lo attribuì in un primo momento all’Anselmi e poi al Correggio, dando inizio a uno di quei fenomeni di autoconvinzione collettiva che sarebbe durato circa due secoli salvo la posizione contraria di qualche voce autorevole. Sulla scorta di questa attribuzione Francesco Algarotti lo commentò in modo molto favorevole in una lettera ad Antonio Maria Zanetti; in tale scritto la nostra Salita al Calvario fu collocata all’inizio dell’attività dell’artista, nel momento in cui si stava emancipando dalla maniera del Mantegna.
Le guide di alcuni viaggiatori (Volkmann, Speth) seguirono questa indicazione insieme ad altri autori. Gli eruditi che conoscevano bene Parma e la sua storia artistica – quali Zappata, Baistrocchi e Tiraboschi – furono poco convinti ma le loro proposte sembrano soffermarsi sulla questione della qualità e complessivamente indicano l’Anselmi come alternativa attributiva. È evidente che allora sfuggivano ancora alcuni punti basilari della questione: l’ambito culturale che non sembra parmense e la datazione che in modo improbabile può essere prima della metà del secolo.
Chi curò l’edizione della guida di Ruta, senza data ma probabilmente dell’inizio dell’800, mise in dubbio la prestigiosa attribuzione al Correggio, ma nel corso del secolo la maggior parte dei commentatori la seguì: significativa eccezione fu il Selvatico che negò la paternità al grande emiliano.
Il Ricci lo declassò alla scuola del Correggio, affermando giustamente che solo in momenti in cui non si aveva piena consapevolezza di quale fosse lo stile del Correggio si poteva pensare che il dipinto potesse essere suo oppure dell’Anselmi: è evidente però che anche Ricci tralasciava l’importanza della decifrazione della provenienza culturale e della datazione.
Unica voce che si staccò dalle altre fu quella del van Liphart che nel 1913 lo considerò eseguito dal Lotto, proposta inaccettabile che però prese in considerazione per la prima volta una effettiva presenza di elementi stilistici veneti.
Anche la posizione del Copertini rivalutò il livello qualitativo della tavola dato che nella mostra delle celebrazioni correggesche del 1935, quando presentò la tela come di scuola parmense del XVI secolo intorno al 1520 con suggestioni del Pordenone, la indicò come “fra le più belle della scuola parmense”.
Soltanto dal catalogo della Galleria del 1939 incomincia ad affermarsi l’opinione che possa essere della seconda metà del ’500: la considerazione per la qualità è però scemata e il dipinto viene collocato sempre nell’ambito della Scuola parmense ma “opera mediocre di un ignoto imitatore del Correggio”.
In anni più vicini a noi la Ghidiglia Quintavalle finalmente lo vide provenire da una mano non locale, peraltro da un difficilmente plausibile ambito cremonese.
Appare comunque chiaro che l’impossibile attribuzione al Correggio, visto che lo stile del dipinto non è confrontabile con nessuna delle sue opere note, scaturì dall’unico brano che presenta una chiara derivazione da una iconografia del grande maestro: la scena che appare in primo piano con la Madonna svenuta fra le braccia di una pia donna, derivante dalla splendida invenzione correggesca che possiamo ammirare nell’Ecce Homo ora alla National Gallery di Londra.
Il celebre dipinto nel ’500 si trovava a Parma presso la collezione Prati, e fu molto ammirato dai Carracci, segnatamente Agostino che ne fece una bella incisione dedicata a un importante prelato bolognese, e Annibale che rievocò il tema in varie tele di analoga struggente tensione.
Il fatto che molti dei colti estimatori riferissero il dipinto alla giovinezza del Correggio deriva dal fatto che, tralasciando la considerazione sul livello raggiunto degli studi in quel tempo, l’opera presenta nelle figure e negli oggetti contorni piuttosto netti se vogliamo escludere certi passaggi e il cielo nuvoloso. Altre figure, di impostazione classicista, come quella all’estrema destra completano un insieme piuttosto composito e non privo di accenti originali. Il dipinto ha certamente sofferto e la superficie pittorica sembra all’osservazione diretta piuttosto consunta; dagli elementi stilistici osservati la Salita al Calvario appare provenire dall’ambito veronese, forse intorno al 1570, in linea, sebbene con caratteristiche molto meno venete, con certi modi eclettici del pittore veronese Domenico Brusasorci (Verona 1492-1567).