- Titolo: Galaktotrophousa
- Autore: Anonimo cretese-veneziano
- Data: Fine del XV - inizi del XVI secolo
- Tecnica: Tempera e oro su tavola
- Dimensioni: 57 x 45,2
- Provenienza: acquistata a Firenze nel 1786 da Alfonso Tacoli Canacci
- Inventario: GN441
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Dal Medioevo a Leonardo Ala Ovest
Entro un fondo d’oro, che oltre a dare “luce” alla tavola, simbolo della sua collocazione in una dimensione aspaziale e atemporale, funge da cornice della stessa – come chiaramente denota il margine inferiore – Vergine e Bambino sono raffigurati nella tipologia della Galaktotrophousa, la Vergine che allatta (Rothemund 1966).
La Vergine, in aderenza al canone bizantino che dà al colore una segnicità specifica e codificata, veste una tunica verde scuro listata in arancio e oro come il bordo della mitella che si intravede sotto al maphorion purpureo. Le rare lumeggiature brune, l’alta frangia dorata e la canonica triplice stella su fronte e spalle, iconologicamente riferibile al dogma dell’Incarnazione (Konstantinides 1960), ne confermano la saldezza iconografica.
Il manto aranciato del Bambino, dalla classica stempiatura dell’Emanuele, giovane e vecchio a un tempo, è fittamente innervato dalla crisografia che ne segna i passaggi plastici del corpo. In entrambi i personaggi le reciproche proporzioni, le bocche rosse ma non squillanti, i manti e i volti rivelano grande morbidezza ed equilibrio di stesura. Il profilo dell’occhio della Vergine e la capigliatura del Bambino mostrano probabili ritocchi posteriori. Molto simile è l’impostazione della sequenza decorativa a rotae fiorite del nimbo in due immagini di produzione rumena (Barnea-Iliescu-Nicolescu 1971; Nicolescu 1971) mentre la terminazione concava e a globuletti della sua profilatura esterna ritorna in una tavola di produzione cipriota (Papageorghiou-Mouriki 1976) oltre che in quella della Vergine Psychosostria di Trieste attribuibile forse ad Andrea Rizo (Chatzidakis 1993). L’implicito contatto con il mondo occidentale che ne consegue è ancor più evidente nella sua ricodificazione in senso corsivo in parecchie icone di analoga tipologia del Museo Nazionale di Ravenna (Angiolini Martinelli 1982).
I rapporti proporzionali tra immagini e fondale e la modulazione interna dell’immagine stessa ne confermano la datazione all’inizio del XVI secolo (Rizzi 1976), con un possibile lieve anticipo alla fine del secolo precedente.