- Titolo: Filippo apostolo e Grisante martire; a destra, i Santi Daria martire e Giacomo minore apostolo
- Autore: Spinello Aretino
- Data: 1380-90 circa
- Tecnica: Tempera e oro su tavola
- Dimensioni: 110 x 47
- Provenienza: Lucca, chiesa dei Santi Simone e Giuda (?)
- Inventario: GN457 e 54
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: La pittura toscana e in Italia centrale 1200-1500
Pietro Martini (1875) indica la provenienza dei due sontuosi frammenti di polittico raffiguranti i giovani apostoli Filippo e Giacomo, accompagnati dalle martiri Grisante e Daria, da “una chiesa nelle vicinanze di Reggio Emilia”, ma nessuna notizia documentaria conferma questa asserzione e i due scomparti non compaiono nei più antichi scritti di fine ’700 relativi alle collezioni ducali di Parma.
Per quanto la provenienza dei fondi oro della Galleria parmense sia tradizionalmente riferita alla collezione Tacoli Canacci, le opere di Spinello Aretino sembrano far parte di un nucleo di dipinti distinto da tale collezione, a cui appartengono altre opere di provenienza lucchese, come quelle di Giuliano di Simone, del Maestro di Barga o del Maestro di San Davino.
Il Tacoli Canacci non menziona le due tavole nei suoi inventari dedicati al re di Spagna (1789, post 1789, 1790-1792, 1796), né esse sono corredate sul retro del cartellino “Etruria Pittrice” che spesso contraddistingue le opere appartenute al marchese. Il Toschi, inoltre, non li ricorda nella Lista compilata nel 1821 per Maria Luigia d’Asburgo, e nel suo scritto del 1825, né lo Schenoni li inventaria nel 1851. È probabile perciò che il loro arrivo a Parma avvenga non con la raccolta di opere toscane collezionata alla fine del ’700 dal lungimirante marchese, ma più tardi, fra il 1815 e il 1848 (Fornari Schianchi 1983). Col Congresso di Vienna del 1814-15 si stabilì, infatti, che il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla venisse assegnato, come vitalizio, alla moglie di Napoleone, Maria Luigia d’Asburgo (1815-1847), e solo alla morte di questa esso ritornò ai Borboni, che nel frattempo avevano ricevuto in cambio il ducato di Lucca. È quindi probabile che rientrando in possesso dell’antico ducato, nel reinsediarsi a Parma nel 1848 in seguito alla morte di Maria Luigia, i Borboni (Maria Luisa, Carlo II e Carlo III) abbiano trasferito alcune opere d’arte da Lucca alla città emiliana. Quest’ipotesi sembrerebbe confermata dalla presenza dei due preziosi scomparti, alla metà dell’800, nei magazzini del Guardamobili ducale, luogo da cui vennero spostati nel 1865 per entrare nella Reale Galleria.
Con l’annessione di Parma e Piacenza alla corona sabauda nel 1860 e soprattutto con l’avvento del Regno unito nel 1865, il Demanio affidò infatti all’Accademia tutte le opere che giacevano nella residenza ducale di Colorno, fra le quali vi erano anche quelle trasferite dai Borboni da Lucca a Parma pochi anni prima.
La prima citazione dei due scomparti si trova in questa occasione, quando Gaetano Schenoni, nella Distinta dei mobili e oggetti che andavano trasferiti dal Palazzo di Colorno alla Regia Galleria, datata 3 giugno 1865, inventariò ai nn. 40 e 41, “Tavole due, a) una Santa con libro ed altra con palma; b) un Santo con libro e Santa con palma (n. 471-1, 471-2)”, ascrivendoli a “Scuola antica”. Nel Catalogo di Pietro Martini (1875) i due scomparti sono documentati con l’attuale numero d’inventario nella Sala dei Dipinti antichi della Galleria, e i Santi Daria martire e Giacomo minore sono attribuiti a “Scuola lombarda”, mentre i Santi Filippo Apostolo e Grisante martire a “Scuola lombarda antica”. Si deve attendere il Ricci (1896) per vederne unificata l’attribuzione a “Scuola Toscana (XIV secolo)”. Il Berenson (1936) propose il nome di “Lorenzo di Niccolò”, mentre Longhi (in Quintavalle 1937) le ascrisse a Spinello Aretino. Quintavalle (1937-38, 1939, 1948) suggerì che i due laterali di Spinello e i tre piccoli frammenti di predella presenti nella stessa Galleria (vedi scheda n. 56) provenissero tutti da uno stesso polittico, prossimo al polittico di Monteoliveto Maggiore, e notò che le elaborate aureole a pastiglia erano presenti anche nel polittico dell’Accademia di Firenze del 1391. Più tardi, nel catalogo della mostra tenutasi a Parma nel 1948, lo stesso studioso documentò il restauro e la pulitura dei due scomparti, e significativamente (quale riprova ulteriore che i due laterali avevano raggiunto Parma nell’800) non ne indicò l’asportazione della cornice a pastiglia settecentesca, documento dell’appartenenza al più antico nucleo della collezione ducale di fine ’700.
Bellosi (1965) colloca i due scomparti parmensi nei primissimi anni lucchesi di Spinello, indicandoli fra il gruppo di capolavori giovanili dell’artista (“opere solenni e arcaizzanti in cui si respira aria di antico Trecento, e quasi di primo giottismo, ma come addolcito nella memoria”). Inoltre respinge l’ipotesi di una formazione orcagnesca dell’artista (in pieno accordo col Longhi che sottolineava l’interesse di Spinello per la pittura di Giovanni da Milano, Giottino e per la scultura fiorentina di primo ’300) e ne individua i profondi legami con l’ambiente artistico aretino, seguito da Donati (1966). Palacios (1965), accogliendo la datazione agli anni 1384-85 (e quindi in prossimità del polittico di San Ponziano, precedente al 1384, e del polittico di Monteoliveto Maggiore, datato 1385), ne sottolinea per la prima volta, oltre la “grande bellezza”, alcune peculiarità tecniche (come le aureole “in maiuscolo gotico e in pastiglia dorata”) che sono presenti nel catalogo dell’artista solo fra gli anni 1384 e 1391. Pur non collegando la migrazione parmense delle due tavole alla dominazione borbonica, ma supponendo che i laterali facessero parte degli acquisti del Tacoli Canacci attorno agli anni 1786-1792, lo studioso è il primo a ipotizzare la provenienza del disperso polittico da una chiesa lucchese.
L’ipotesi più suggestiva è quella che le due tavole facessero parte di un polittico per la chiesa di San Frediano, luogo in cui si trovano non solo le reliquie di Grisante e Daria, ma anche quelle di Filippo e Giacomo, ai quali era perfino dedicata una cappella adiacente a quella dei Trenta. Bisogna però notare che la cappella Gentili a cui alludeva González Palacios, in onore degli apostoli Filippo e Giacomo era stata consacrata in seguito al testamento di Pietro Gentili del 19 febbraio 1398, e quindi diversi anni dopo l’esecuzione del polittico in questione. La seconda ipotesi proposta dal Palacios è che il polittico provenisse dal convento di San Ponziano a Lucca, che aveva sede a Placule. Tale chiesa (ora non più esistente) era dedicata ai Santi Filippo e Giacomo prima del trasporto delle reliquie di san Ponziano da Roma. Inoltre dal 1369 era di proprietà degli olivetani e fu proprio per questa chiesa che Spinello fece il polittico di San Ponziano.
A queste due ipotesi sulla provenienza dell’opera ne va aggiunta una terza, proposta oralmente dalla Filieri (ma anche Boggi 1997) che collega l’opera a un documento del 22 novembre 1347 quando, nella chiesa dei Santi Simone e Giuda viene consacrato, alla presenza di Francesco di Bartolomeo Guinigi, un altare ai Santi Jacopo e Filippo, con la deposizione delle reliquie dei santi Giacomo, Filippo, Grisante e Daria (Archivio Storico Lucchese, Opera di S. Croce n. 10, c. CLXXI; Concioni-Ferri-Ghilarducci 1994).
In un saggio del 1973 sull’attività giovanile di Spinello Aretino, la Calderoni Masetti getta luce sull’attività miniatoria di Spinello e puntualizza le tangenze stilistiche e iconografiche tra le opere su tavola degli anni 1384-85 e alcuni manoscritti conservati a Lucca. Così il laterale parmense col San Filippo trova un perfetto gemello miniato in una carta di uno stupendo corale lucchese (cor. 9, a c. 169v, Opera del Duomo di Lucca), che sembra confermare la ricchezza di articolazione linguistica e la fluidità della linea del pittore. Il lusso sfoggiato dai quattro giovani e bellissimi santi parmensi induce Boskovits (1975) a sottolineare che Spinello “preferisce insistere sull’atmosfera serena, intima, feriale dell’avvenimento” appoggiandosi a modelli prestigiosi visibili in Lucca (“avrà avuto occasione di vedere tavole d’altare… con sontuose decorazioni d’oro, da Angelo Puccinelli… (a) Giuliano di Simone”) quale segno di adeguamento alla cultura locale. L’opera mostra infatti una marcata ricerca di preziosismi come la decorazione a pastiglia dorata che arricchisce gli scolli, i polsini, i profili delle vesti dei quattro giovani ed elegantissimi santi, ma anche una punta di degagement artistico in qualche particolare, come l’incompleta punzonatura che monta sulla spalla destra del San Filippo.
Per ciò che riguarda gli altri frammenti del polittico disperso, la critica ne ha identificato lo scomparto centrale e la cuspide.
Bellosi, in una lettera nel 1977, identificava infatti il pannello centrale nella Madonna col Bambino in trono, proveniente dalla famiglia Talenti. Pubblicata dallo stesso studioso nell’articolo del 1965, per la prima volta, come opera degli anni pisani, questa splendida Madonna è riapparsa recentemente in una vendita londinese di Christie’s (1994), nel cui catalogo un’accurata scheda di Fahy ne ripercorre la vicenda critica.
Ferretti (1993) ha invece riconosciuto la cuspide in un tondo con Cristo benedicente (ora in collezione privata) che era stato riferito con cautela, nel lontano 1928 dal Procacci al periodo lucchese di Spinello “intorno all’anno 1385”.
Il polittico così ricomposto costituisce un’opera di altissima qualità che cade in un momento piuttosto precoce dell’attività di Spinello a Lucca, probabilmente la prima impegnativa commissione che l’artista ricevette attorno al 1383 al suo arrivo nella ricca città.