Il 13 dicembre 1771 il notaio Lorenzo Bocelli procedeva all’inventario e alla stima dei dipinti e dei disegni che erano appartenuti al defunto conte Giulio Scutellari e che erano dislocati nei diversi ambienti del suo palazzo “posto in Parma nella vicinanza della Cattedrale”.

I numeri 139 e 140 dell’elenco sono relativi a due dipinti (La vendita di Giuseppe e Noè ubriaco) di formato orizzontale (“per il traverso”) posti a piano terra “nella camera contigua al Cantone” e qualificati di un’altisonante, anche se non categorica, attribuzione: essi erano infatti “creduti del Tiziano”.

Non sappiamo per qual via essi fossero giunti nella raccolta del conte Scutellari (ove, peraltro, non mancavano opere attribuite ad autori genovesi: il Biscaino, lo Strozzi, il Grechetto…) e non sappiamo per qual via essi giungessero nelle mani di un tal Rossi, che nel 1844 li vendette per la somma di 200 lire all’Accademia di Belle Arti; nel 1852 li troviamo registrati nell’Inventario generale di quest’ultima come di “Incerto di Scuola spagnola”, indicazione che fu corretta dal 1875 in poi in favore del genovese Giovanni Andrea De Ferrari.

In occasione del restauro del 1992 si è accertato che entrambi i dipinti furono in passato ampliati di alcuni centimetri su tutti e quattro i lati, probabilmente per consentirne l’inserimento in cornici preesistenti; la pulitura effettuata allora ha permesso il recupero della dolce cromia originaria, giocata su toni caldi e selezionati, sapientemente contrappuntati, secondo la lezione vandyckiana, dall’emergere dei bianchi e dei rossi.

Poche e puramente accessorie le indicazioni di paesaggio; pochi, ma niente affatto accessori, i brani di natura morta i quali, pur non insidiando il protagonismo delle figure, ne secondano efficacemente la messa in scena; questo procedimento narrativo ricorre costantemente nelle migliori opere del De Ferrari: si pensi, ad esempio, alla Natività della Vergine di Sant’Ambrogio di Genova Voltri e all’importanza che in essa giocano la brocca di rame e il cuscino recati dalla fantesca.

La coppa e la bottiglia che Noè, tradito dal vino, ha lasciato cadere ritornano pressoché identiche, anche se in controparte, nell’Ebbrezza di Noè che dal 1831 fa parte delle collezioni dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova (inv. 383); questo dipinto, di dimensioni più contenute (cm 124 x 149), fu probabilmente eseguito qualche anno prima della nostra tela, poiché gli impasti cromatici presentano ancora le tracce delle acidule stesure degli anni giovanili e, soprattutto, poiché il De Ferrari mostra di non aver ancora assimilato appieno la lezione di Domenico Fiasella, il più aggiornato maestro che agisse sulla scena pittorica genovese nel terzo decennio del secolo.

Viceversa, questo processo di assimilazione appare compiuto in questo dipinto, come dimostrano la monumentalità dell’assetto compositivo e l’uso delle luci; del resto, la recentissima pubblicazione di un’inedita Ebbrezza di Noè del Fiasella, custodita attualmente presso la Cassa di Risparmio della Spezia (cfr. Donati 1998, pp. 34-41), ha consentito l’individuazione del precedente diretto della figura del patriarca giacente, quale appare nel dipinto di Parma. La trama delle relazioni che il De Ferrari intrecciò con il maestro di Sarzana si conferma dunque assai fitta.

Bibliografia
Inventario… 1771;
Martini 1875, p. 19;
Pigorini 1887, pp. 18-19;
Ricci 1896, p. 29;
Thieme – Becker 1915, p. 454;
Quintavalle A.O. 1939, pp. 207-208;
Tagliaferro 1983, p. 38;
Pesenti 1986, p. 322;
Castelnovi 1987, p. 96;
Fornari Schianchi 1994, p. 51;
Riccomini 1997, pp. XXII-XXVI
Restauri
1885 (S. Centenari);
1947-48;
1992 (Zamboni e Melloni)
Scheda di Piero Donati, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.