Nel catalogo della Galleria Sanvitale (1835), donde proviene, la teletta era schedata incredibilmente sotto il nome del pittore veneto Giulio Carpioni;

è stato restituito convincentemente al Badalocchio da Ottaviano Quintavalle (1939), che lo accosta al Cupido di Capodimonte (inv. 385): opinione confermata anche dalla Ghidiglia Quintavalle (1968b) in occasione della mostra dei Tesori nascosti della Galleria di Parma, e così commentata: “in questi due amorini è chiara ispirazione dal Cupido dello Schedoni della Pinacoteca di Napoli; ma intesa con il suo colore ricco di blu e di verdi, una meno rigorosa caratterizzazione ed una pennellata più sfatta, quest’ultima forse dovuta allo stato d’abbozzo del dipinto”. Certamente un’opera “in minore” nella produzione del maestro, costellata per lo piu di pale d’altare, dipinta con vivacità di tocco che già anticipa la pittura dell’800. Una datazione nel secondo decennio del ’600 ci sembra allo stato attuale degli studi la più probabile.

Bibliografia
Catalogo… 1835, n. 70;
Pigorini 1887, p. 26;
Ricci 1896, p. 159;
Quintavalle A.O. 1939, p. 91;
Salerno 1958, p. 62;
Ghidiglia Quintavalle 1968b, p. 54;
Pirondini 1995, p. 93
Restauri
1955-56
Mostre
Parma 1968
Scheda di Mario Di Giampaolo, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.