“Miniatura sull’avorio con Laura Dianti e Alfonso d’Este […] adattata in una bella cornicetta di ebano”; così riporta l’Inventario generale a proposito di questa graziosa miniatura, segnalata per la prima volta fra le opere della Galleria da Quintavalle nel 1939 (p. 258).

La miniatura, la cui provenienza rimane dunque sconosciuta, è una copia da Tiziano eseguita da Giuseppe Naudin, come conferma la firma apposta in basso a destra. Membro di una famiglia francese trasferitasi a Parma al tempo dei primi Borbone, Naudin fu un “valoroso acquerellista ed uno dei più eccellenti miniatori del suo tempo” (Copertini 1971, p. 25); frequentò lo studio di Paolo Toschi, collaborando al lavoro di riproduzione dalle opere di maestri antichi (inv. 618/4; cfr. scheda n. 904), Correggio in particolare, che venivano poi incise su lastra di rame. La sua prima opera nota è, infatti, costituita da una serie di raffinate copie ad acquarello degli affreschi dell’Allegri, “sì difficili a ritrarsi, e ch’egli seppe condurre in guisa da parere si riflettessero in picciol cristallo i prodigiosi dipinti dell’immortale artefice” (Janelli 1877, p. 275).

Questa miniatura costituisce invece la replica di un celebre quadro di Tiziano, il cui soggetto ha subìto nel corso del tempo diverse identificazioni, nessuna delle quali ritenuta davvero convincente dalla critica. La datazione proposta per questo dipinto (di cui esistono peraltro diverse varianti), intorno al 1512-1515, non consente infatti di poterlo ritenere il ritratto dell’Amante di Tiziano, o di Alfonso d’Este e Laura Dianti, come in questo caso, o del duca Federico Gonzaga con l’amante Ilaria Boschetti; l’interpretazione più probabile appare dunque quella di un’allegoria della Vanità rappresentata dalla donna che si pettina i lunghi capelli biondi davanti allo specchio sorretto per lei da un uomo barbuto, probabilmente il suo innamorato. Quella attuata da Naudin è una ripresa molto precisa, tanto nella costruzione della scena, che nelle proporzioni delle figure e nel rapporto fra i due personaggi; raffinatissimi risultano anche i passaggi cromatici, resi con una stesura pittorica molto morbida, per tratti minuti, che rende l’immagine appena più vaga e sfumata rispetto all’originale.

La critica ha del resto più volte sottolineato come “l’esattezza del disegno e la squisitezza delle tinte” (Copertini 1971, p. 25) costituiscano la caratteristica principale dell’arte di Naudin, la cui tecnica puntigliosa, affinata dal paziente esercizio effettuato nello studio del Toschi, gli consentì di raggiungere un tal “grado di squisitezza” da far sembrare le sue miniature “veri gioielli”. I suoi contemporanei ne ammiravano soprattutto “quel finir diligentissimo, che forma particolar pregio di un’arte cotanto graziosa” (Janelli 1877, p. 275) e che, unita a un raffinato gusto neoclassico, gli guadagnò rapidamente una fama e un successo straordinario. Membro d’onore dell’Accademia Parmense, Maria Luigia lo volle come pittore di Corte e gli affidò l’educazione artistica della figlia Albertina.

Alla sua assidua frequentazione della Corte e al rapporto privilegiato di stima e di affetto che gli fu sempre riservato si devono probabilmente alcuni splendidi ritratti di piccolo formato, fra i quali ad esempio quelli di Albertina Sanvitale e Guglielmo di Montenovo, figli della duchessa, oggi conservati al Museo Glauco Lombardi, e una serie di squisiti quadretti che raffigurano le residenze ducali sparse nella campagna parmense, dove egli si recava probabilmente con la duchessa durante il periodo estivo, oltre a una serie di acquarelli che hanno come soggetto gli interni del Palazzo Ducale di Parma. Dipinti verso il 1830, rappresentano l’unica testimonianza rimasta degli arredi progettati da Paolo Gazzola, in un sobrio ed elegante stile neoclassico. Nonostante le dimensioni piuttosto ridotte delle immagini, la resa degli ambienti è davvero impeccabile, così nitida da sembrare una ripresa fotografica, che tuttavia “va molto al di là del semplice configurarsi esteriore degli oggetti” (Tassi 1969, p. 117). Per la precisione formale e la rigorosa armonia di linee e colori che caratterizza i vari ambienti del palazzo queste opere sono concordemente ritenute dalla critica le più rappresentative di tutta l’attività dell’artista.

La sua fama glì consentì di ottenere anche altre importanti committenze private, come quelle a Palazzo Carmi e Villa Tedeschi a Parma e prestigiosi riconoscimenti ufficiali, anche al di fuori del ducato: nel 1872 il re gli consegnò la medaglia d’oro e le insegne mauriziane, nominandolo suo miniatore. La scarsa notorietà che oggi avvolge le sue opere si deve purtroppo “al particolare destino della sua arte, che rimase nascosta negli albums e nelle stanze private delle molte famiglie nobili…” (Tassi 1969, p. 117), invece di essere esposta nei musei pubblici a fianco delle opere degli artisti suoi contemporanei.

Bibliografia
Inventario… s.d.
Carla Campanini, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.