Il ritratto, destinato alle residenze borboniche, durante il governo di Maria Luigia era stato collocato nella raccolta del Palazzo del Giardino (1834) e dopo la spoliazione sabauda venne assegnato alla Biblioteca Palatina (1868), che lo cedette nel 1887 alla Galleria.
È lo stesso Laurent Pécheux che nelle note biografiche pubblicate da Bollea (1936) ci racconta di essere stato invitato alla Corte di Parma dal ministro Du Tillot su consiglio del Mengs, per eseguire il ritratto della principessa Maria Luisa, promessa sposa del cugino Carlo di Borbone, principe delle Asturie, nonché futuro Carlo IV. Il Mengs, che aveva conosciuto il giovane francese a Roma fra gli amici di Pompeo Batoni, si trovava in Spagna al servizio di Carlo III e a Corte si attendeva con urgenza un ritratto della esigente principessa Maria Luisa, che altri artisti non avevano saputo con efficacia raffigurare.

Pécheux si considerava più un pittore di storia, ma la proposta di servire i Borbone era entusiasmante e per dimostrare le sue capacità di ritrattista prima di partire da Roma aveva inviato a Parma un doppio ritratto del diplomatico Breteuil e del matematico Jaquiere (Bollea 1936, pp. 42, 373), personaggi noti alla Corte di Don Filippo, tela che suscitò interesse e molte aspettative, tanto che Pécheux nell’arco di un anno (era partito da Roma nel gennaio del 1765 e vi ritornò nel 1766) ebbe modo di eseguire ben dodici ritratti dei principi, fra cui questo del duca, oltre alla copia di un particolare del Giorno del Correggio.

Pécheux nel concepire il ritratto indubbiamente dimostra di aver assimilato soluzioni già adottate da Batoni e in particolare si avverte nella posa e negli effetti prospettici assonanze con il ritratto del duca di Württemberg (1754) (Clary 1963, p. 353). L’immagine che ci ha lasciato di Don Filippo in piedi nell’intimità di un salotto è significativa del clima di familiarità in cui operò Pécheux, che qui, rispetto ai tradizionali canoni della ritrattistica aulica, adottò una posa più naturale, come se il duca fosse quasi colto di sorpresa, mentre mostra gli arredi di fattura francese che Bonnet spediva da Parigi. L’artista indaga con obiettiva dignità nella psiche umana, ma sullo stesso piano pone anche il contesto dell’ambiente e la luce colpisce e rende viva ogni cosa, dal camino presumibilmente opera di Boudard, al parafuoco, dal divano all’applique e all’alare in bronzo dalle volute rocailles. Tutti oggetti questi del resto di pregevole fattura, resi noti e rintracciati dalla Briganti (1969, pp. 44, 59) e da González Palacios (1987, pp. 205 sgg.; González Palacios 1996, pp. 34 sgg ), che furono commissionati espressamente per la Corte parmense e ora sono custoditi nel Palazzo del Quirinale e recano il marchio C corona R, che connota la maggior parte degli arredi prestigiosi della collezione ducale. Don Filippo, elegantemente abbigliato con una scura marsina tessuta con piccoli disegni geometrici in oro e profilata di pelliccia, ha al fianco il fedele cane, anch’esso in posa davanti al cavalletto di Pécheux e tanto fu apprezzato il realismo della resa pittorica, che lo stesso artista ebbe a narrarci di un divertente episodio avvenuto al termine del lavoro, quanto il cane di fronte alla tela, riconoscendo se stesso, aggredì l’immagine (Bollea 1936, p. 48).

Lo sguardo fiero di Don Filippo, l’ufficialità del suo ruolo, sottolineato dalle onorificenze appuntate sul petto come la Croce del Santo Spirito, seguita da quella dell’Ordine di Santiago oltre al Toson d’oro al collo, tuttavia ci inducono a pensare che il ritratto fosse destinato a una sala di rappresentanza e forse doveva far coppia con la tela di van Loo raffigurante Luisa Elisabetta (inv. 1030; cfr. scheda successiva) dipinta alcuni anni prima e a ragione possiamo considerarlo l’ultimo ritratto fattogli in vita, dato che morì improvvisamente ad Alessandria di vaiolo il 18 luglio dello stesso 1765, dopo aver accompagnato la figlia Maria Luisa nel suo viaggio nuziale verso la Spagna.

Don Filippo era nato nel 1720 e la madre Elisabetta Farnese ebbe su di lui una forte ascendenza anche dopo la presa di possesso del ducato di Parma e Piacenza (1748), assecondata dalla nuora, l’Infanta Babet, figlia prediletta di Luigi XV, che alternava lunghi soggiorni a Versailles, lasciandolo a Parma al governo di un piccolo Stato, trasformato sul modello francese in petite capitale sotto la guida illuminata del ministro Du Tillot.

Il successo della tela indusse qualche copista di Corte a farne una versione parziale da inviare in Spagna dove risulta fra i beni del Prado (n. 5.224) e una copia di anonimo della testa con le sole spalle è conservata nella Biblioteca Palatina. Vari sono tuttavia i ritratti che si conoscono di Don Filippo, sia in età giovanile come la raffinata tela di Louis-Michel van Loo del Prado (n. 2.282) (AA.VV. 1997b, p. 40), che in età più adulta come il quadro di Carlo Francesco Rusca (1747) (Urrea 1987, pp. 788-791), nonché quello magniloquente attribuito a S.(sic)Ranc (Pellegri 1984, p. 41), indubbiamente inviato a Parma dalla Corte madrilena e ora custodito presso il Museo Glauco Lombardi; per non parlare della bella testa a pastello esposta nello stesso museo, molto vicina nella resa delle sembianze all’immagine che di lui diede Baldrighi nella grande tela che lo ritrae con la famiglia (Mavilla 1985, p. 192). Un’altra sua felice effigie a mezzo busto è conservata presso l’Ordine Costantiniano proposta a ragione al pittore svedese Alexander Roslin (com. or. di Amalia Pacia su dati pubblicati da Lundberg 1957), amico di Vien e di Baldrighi, che soggiornò per un breve periodo a Parma nel 1751 e da cui derivano le due copie, quella della Pinacoteca Stuard (Cirillo – Godi 1987, n. 192, p. 229) e quella presso la collezione degli Ospedali Riuniti di Parma. Prototipo da cui fu dedotta anche la sovrapporta nella Villa della Fondazione Magnani Rocca di Mamiano (Parma) e che ritroviamo molto simile nel ritratto assegnato al Baldrighi da Urrea (1987, pp. 789-791), custodito nel Palacio de la Moncloa a Madrid.

Bibliografia
Ricci 1896, p. 215;
Oietti 1927, p. 188;
Bédárida 1928, ed. 1986, vol. II, pp. 491-494;
Bollea 1936, pp. 48-49;
Quintavalle A.O. 1939, pp. 260-261;
AA.VV. 1963, p. 120;
Ghidiglia Quintavalle 1963, p. 41;
Ghidiglia Quintavalle 1965, tav. XXXVI;
Briganti 1969, pp. 44, 59;
Rosenberg 1979b, p. 162;
González Palacios 1987, vol. I, pp. 205, 219 sgg., vol. II, p. 229;
Balansó 1995, p. 37;
González Palacios 1996, pp. 15, 34
Restauri
1979
Mostre
Firenze 1911;
Torino 1937;
Torino 1963;
Parma 1979
Mariangela Giusto, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.