- Titolo: Don Ferdinando di Borbone
- Autore: Giuseppe Sbravati
- Data: 1776
- Tecnica: Marmo di Carrara
- Dimensioni: h cm 75 (compresa la base)
- Provenienza: collezioni ducali; Parma, Accademia di Belle Arti; Biblioteca Palatina, 1856; Museo di Antichità, 1893; in Galleria dopo il 1958
- Inventario: Inv. 1858
- Genere: Scultura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: L'Accademia
La genesi di questo busto è intimamente legata alle travagliate vicende biografiche del suo artefice, il parmigiano Giuseppe Sbravati, senza dubbio il migliore allievo del Boudard e la personalità di maggior spicco nell’ambito della plastica e della scultura in marmo nella Parma dell’ultimo quarto del ’700.
Dalle note di Scarabelli Zunti (Documenti…, VIII [1751-1800], cc. 261r e v) veniamo a sapere che intorno al 1773 lo scultore aveva in animo di eseguire due ritratti dei sovrani Ferdinando e Maria Amalia e che si faceva mandare da Carrara i marmi sbozzati da Giovanni Cybei (1706-1786), promettendogli di pagarlo non appena avesse ottenuto dai duchi il compenso desiderato.
Ma dopo circa due anni lo scultore carrarese, accortosi che le sculture erano già state accolte e pagate allo Sbravati dalla Corte, lo denunciò, ottenendone l’incarceramento in Cittadella. Le due opere in questione potrebbero essere quei “ritratti che sono in Accademia presi dal fu Marchese Canos[s]a ed avuto a conto lire 2.400 che sarà cinque ani et giudicati molto ed ancho di spesa più di quaranta zecchini”, che lo scultore parmigiano ricorda in un elenco di “lavori parte ordinati e parte acetati a fine di asistermi dal clemente mio sovrano”, risalente al 12 maggio del 1780 (ASP, Epistolario scelto, b. 24); è stato proposto in maniera convincente di riconoscere uno di questi due ritratti in un tondo marmoreo coll’effigie di Maria Amalia in profilo oggi presso l’Istituto Toschi di Parma (Cirillo – Godi 1994, pp. 34-35; illustrato come opera di anonimo in Pellegri 1976, p. 164, fig. 121), mentre è per il momento irrintracciabile quello del marito. Da una lettera del 4 maggio 1775 del conte Carlo Gastone della Torre di Rezzonico, segretario perpetuo dell’Accademia (ASP, Istruzione pubblica borbonica, b. 30), veniamo inoltre a sapere che l’artista aveva contratto nuovi debiti durante il periodo di detenzione: il Rezzonico rivelava nella missiva che lo scultore “attualmente travaglia un busto di S.A.R.” e proponeva che il creditore gli lasciasse almeno due mesi di tregua affinché potesse completare la testa che “è nel Gabinetto della Signora Infanta, e il rimanente [vale a dire gli attrezzi di lavoro] si ritrova nelle stanze del Signor Galeotti, dove per ordine di Madama deve travagliare lo Sbravati, ed in questa mattina sono stato a vedere il lavoro per accertarmi della verità”. Un marmo e una terracotta dell’artista vennero in effetti giudicati in Accademia fra il 24 e il 30 maggio dello stesso anno (Archivio dell’Accademia, Atti…, I [1770-1793], cc. 69-70), ed è assai probabile che si tratti proprio del nostro busto, che è firmato e datato al 1776.
Il ritratto ha un classico taglio all’antica e non ha più nulla della vibrante energia “barocca” di quello del padre Filippo; solo il volto del sovrano, allora venticinquenne, dal caratteristico aspetto grassoccio e dall’aria un po’ stolida, è girato verso destra, a conferire un moto d’animazione alla scultura. Ripresi dal ritratto paterno sono gli elementi del costume: la corazza con i suoi ornamenti, la fascia disposta diagonalmente sul petto, la sciarpa attorno al collo, la camicia ornata di pizzo ai bordi, le insegne (l’Ordine del Santo Spirito e quello del Toson d’oro). È un’immagine ufficiale un po’ fredda e compassata, ma che al contempo riesce a cogliere con acutezza la personalità ombrosa e sfuggente del duca.
Il ritratto appare esposto in Accademia perlomeno dal 1791 (Inventario… 1791, c. 1v) fino alla metà del secolo successivo (Archivio dell’Accademia, Inventari… 1 [1758-1852], cart. A, b. 7, fasc. 3, c. 1 [prima del 1802]; cart. B, b. 1, c. 14 [1819]; cart. B, b. 5, fasc. 2, n. 545 [post 1821]). Nel maggio del 1856 venne consegnato in deposito temporaneo presso la Biblioteca Palatina e nel 1893 fu ceduto al nuovo Museo di Antichità, dove nel 1940 era esposto nella sala XV (Monaco 1940, p. 15), per passare infine, al momento della suddivisione delle collezioni nei primi anni Sessanta, nella Galleria Nazionale.