- Titolo: Don Ferdinando di Borbone
- Autore: Laurent Pécheux
- Data: 1765
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 230 x 164
- Provenienza: collezioni ducali
- Inventario: 823
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Ritrattistica ducale
Il ritratto nel 1779 si trovava già presso l’Accademia e durante il governo francese (1805) venne confermata la collocazione nella prestigiosa sede della Pinacoteca di Belle Arti, poi passò alla Prefettura, e nel 1889 fu restituito alla R. Galleria.
Per lungo tempo si pensò che raffigurasse il principe Ludovico, figlio di Don Ferdinando e come tale venne esposto nel 1911 alla mostra del ritratto italiano sebbene il Ricci si fosse già accorto della incongruità della data con l’identità del personaggio.
Nel 1765 Laurent Pécheux, come egli stesso registrò nelle Note des tableaux (Bollea 1936, pp. 46, 394), fra i dodici ritratti che eseguì in Parma durante il suo soggiorno a Corte precisò di averne dipinti due del giovane principe, questo e un altro identificato nella tela di dimensioni minori conservata presso l’Ordine Costantiniano (Testi 1911b, p. 270; Bollea 1936, p. 47) e di essere rimasto colpito dalla bellezza del suo incarnato e dalle sue conoscenze. L’erede del ducato aveva in effetti ricevuto un’ottima educazione illuminista sotto la guida dell’abate Condillac e di Keralio, con un corpo docente di prestigio europeo, che inculcarono in Don Ferdinando, dall’indole debole e timorosa, idee politiche avanzate, sebbene egli dimostrasse particolare inclinazione per una bigotta religiosità.
Nello stesso anno in cui Pécheux dipinse il quadro, morì improvvisamente, l’8 luglio, il duca Don Filippo e per evitare che lo zio Carlo di Borbone, re di Spagna, potesse avanzare pretese sul ducato, il 18 agosto Ferdinando, appena quattordicenne (era nato il 20 gennaio del 1751, undici mesi prima della sorella Maria Luisa), venne dichiarato maggiorenne e assunse, guidato dall’illuminato Du Tillot, il governo del piccolo Stato. È probabile che la tela sia stata dipinta alcuni mesi dopo l’evento, quando il giovane duca si apprestava ad assumere pieni poteri anche sulle forze militari, come si può ipotizzare alluda la Cittadella, baluardo difensivo di Parma, dipinta nel fondo.
Il giovane duca ostenta con molta naturalezza le onorificenze del suo rango, il Toson d’oro al collo, che già gli vediamo anche da bambino nel grande ritratto con la famiglia, le croci degli Ordini del Santo Spirito e dell’Annunziata sul petto, e indossa un elegante abito di foggia francese con calzoni al ginocchio e una lunga marsina in seta con un disegno geometrico minuto i cui risvolti delle maniche e il gilet sono di un tessuto più chiaro grigio-azzurro con applicazioni dorate, sotto un braccio stringe il tricorno e l’elsa di una piccola spada sporge a lato della mano sinistra. Le scarpe nere con le fibbie argentate hanno il tacco di color rosso, prerogativa dei membri della casa reale di Francia, che egli, figlio dell’Infanta Elisabetta, poteva portare.
Pécheux adotta anche in questo ritratto, come già aveva fatto per Don Filippo e per la principessa Maria Luisa, una posa a figura intera, questa volta in uno spazio aperto, dove il personaggio si impone con equilibrate proporzioni e gesti contenuti.
L’artista è riuscito a cogliere la naturalezza dello sguardo e la serenità del giovane, quasi disposto a dialogare con chi l’osserva. È evidente che Pécheux, lasciati alle spalle i modelli francesi della ritrattistica aulica, nonostante si dichiarasse pittore di storia, può essere annoverato fra i ritrattisti più dotati del ’700 per aver prediletto una pittura meno artefatta e più fedele al dato oggettivo, in cui, oltre alla ricerca della somiglianza, porgeva attenzione anche a un’indagine introspettiva dell’animo dell’effigiato, insieme allo studio dell’ambiente e dell’atmosfera naturale del paesaggio, come in questo dove il volume dei bastioni della Cittadella in lontananza sono, al pari delle dense nubi, elementi costruiti con delicate trasparenze cromatiche, utili per creare contrasto prospettico con la figura in piena luce.
In un suo secondo breve soggiorno parmense nel 1777, Pécheux, durante il definitivo trasferimento a Torino dove assunse l’incarico di direttore dell’Accademia e svolse fino alla morte (1821) il ruolo di primo pittore di Corte dei Savoia, incontrò ancora i favori del duca Ferdinando, che lo ricevette con molta cordialità nella Reggia di Colorno e gli fece conoscere la duchessa Maria Amalia e i figli, oltre a mostrargli la chiesa di San Liborio, per la cui cappella ducale chiese all’artista lionese la tela raffigurante San Vincenzo Ferreri che risuscita una donna che Pécheux, rispettoso dell’incarico ricevuto, inviò da Torino nel 1779.
L’altro ritratto che Pécheux ci ha lasciato di Don Ferdinando giovane, proposto da Bollea (1936, p. 47) e sostenuto anche dal Pelicelli, se si accetta l’attribuzione che la critica ha successivamente ignorato, e con riserve ci sentiamo di confermare, si avvicina, nella scelta della posa, all’immagine che poco più tardi eseguirà del duca il Ferrari (inv. 308; cfr. scheda n. 722), sebbene differisca da questa nella stesura pittorica, più temperosa e preziosa nella ricerca dei particolari dell’abito e colga nello sguardo frontale del principe un’espressione più severa e matura del nostro ritratto a figura intera.
Nel 1774 a Roma, dove Pécheux si trovò a operare per oltre venticinque anni, a dimostrazione del fatto che il prestigio della sua pittura e della sua fama di ritrattista aveva superato i confini nazionali, egli stesso annotò di aver eseguito un altro ritratto (non rintracciato) del duca Ferdinando per l’imperatrice di Russia, presumibilmente a memoria su quanto aveva dipinto a Parma nel 1765.