È certo il ritratto di un duca questo: trequarti di figura, scenario accurato e fastoso ricco di suppellettili eleganti e di gran pregio, peraltro domestiche in quanto arredi della Reggia di Colorno (Briganti 1969), abito da gran parata in rosso velluto di seta brillante dei galloni in oro filato e riccio foderato in raso bianco, splendide onorificenze (del Santo Spirito, del Toson d’oro, e la Croce dell’Ordine Costantiniano pendente di sguincio dall’ampia fascia in seta marezzata cobalto) in bella vista, raffinata parrucca alla francese malgrado la giovane età. Sì, perché Ferdinando è diventato duca a quattordici anni, nel 1765, alla morte del padre, e da quella data non deve essere ancora tanto lontano, la sua fisionomia imberbe ha ancora la rotondità e la morbidezza dell’adolescenza, con la mano indica con orgoglio il suo tavolo ingombro di studente: il mappamondo con il goniometro, il calamaio, l’argentata matita, il foglio disegnato a sanguigna.

È ancora così vicino al suo precettore Condillac il giovane Ferdinando, che quasi ne sentiamo la voce francese suggerirgli la posa e la scelta di quegli oggetti così seri e impegnati, certo non è ancora stato celebrato, se pure è alle porte, il matrimonio con Maria Amalia (1769). Pietro Ferrari, cui sarei incline a confermare l’opera (proposta come Baldrighi da Cirillo – Godi 1979c, e ancora da Cirillo 1997, pur in contrasto con la storiografia artistica locale), risulta da parte sua più che mai attento agli insegnamenti del maestro, come in altri ritratti di questi anni entro il 1770, vedi ad esempio quello di Du Tillot che sospende la lettura (in collezione privata e reso noto da Cirillo cit., fig. 3), ovvero il Ritratto di Saverio Bettinelli della Pinacoteca Stuard (cfr. Barocelli 1996, p. 114), prima di tutto per la felice ripresa della sintassi del ritratto di Corte alla francese, ma poi specialmente per una resa diafana e, come dire, inamidata delle carni e delle fisionomie. A leggerlo più attentamente tuttavia si coglie, nei tratti del volto del giovane duca, quella certa pesantezza, quella tendenza alle guance cascanti, quel naso imponente che ritroveremo nel famoso ritratto di Zoffany del 1778, e che già da ora di contro sottolinea nell’artista parmense quell’inclinazione a un certo naturalismo, per non dire verismo, che caratterizza la sua produzione ritrattistica più matura. Ma un altro confronto vorrei proporre, a riprova, ed è quello con il Du Tillot di cui alla precedente scheda: identica è la fitta ragnatela tramata di tocchi dorati che disegnano, enfatizzandola, la preziosità delle luminose decorazioni degli abiti, quasi un topos il calamaio con le bianche cannucce delle penne d’oca divaricate, per non dire del calibrato effetto di luci, che con uguale sapiente regia, ricava e ritaglia splendenti silhouette dalla penombra del fondo. Quanto alla resa abilissima delle riflettenti superfici lastronate del cartonnier o della pendola Luigi XV, cui l’inquadratura sgusciata conferisce una perspicuità quasi stereometrica e un ruolo quasi da protagonista, così lontana ormai dal medaglione distante e sfumato di quella da muro nel Ritratto di Don Filippo con la famiglia di Baldrighi, come non ricordare ancora le parole del Bertoluzzi: ”Gli accessori poi li toccava con tal verità e maestria ch’era un incanto”(Bertoluzzi, Vite manoscritte, in Cirillo – Godi 1980, p. 78). Potrebbe essere proprio questo ritratto una commissione di Corte dunque e non la nomina a ritrattista di Corte che arriverà solo nel 1783, l’esito prestigioso, cui accenna sempre il Bertoluzzi, del successo derivato al Ferrari dal ritratto di Du Tillot, un intreccio di circostanze e di anni, che si rivela, visibilmente, un intreccio di stile.

Bibliografia
Martini 1870, p. 63;
Ricci 1896, pp. 218-219;
Quintavalle A.O. 1939, p. 261;
Ghidiglia Quintavalle 1960, p. 39;
Briganti 1969, p. 57;
Bigliardi 1977, p. 45;
Riccomini 1977a, pp. 128, 130;
Fornari Schianchi 1979b, p. 116;
Cirillo – Godi 1979c, p. 189;
Guarnaschelli 1984, pp. n.n.;
Mavilla 1985, p. 180;
Giusto 1989, p. 715;
Cirillo 1997, p. 282 (con completa bibl. prec.);
Fornari Schianchi 1998a, nota 14, p. 103
Mostre
Parma 1979;
Parma 1997
Luisa Viola, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.