La stessa tipologia interpretativa il Ricci l’adotta per sondare e illustrare il famosissimo episodio di Diogene che, in pieno giorno, con la lanterna in mano cerca sul volto degli uomini la virtù, secondo quanto racconta il biografo greco Diogene Laerzio.

Anche in questo caso l’essenza del racconto si basa su una scena di stampo ancora barocco, fra luce e ombra e sulla scelta dialogica affidata alle mani e agli interrogativi del volto. Particolarmente intenso quello di Diogene matericamente denso e pittoricamente curato, come il muso del cane; il resto si stempera in un fondo di bitume appena rischiarato dalla luce fioca della lanterna indirizzata sugli occhi del soldato, attraverso i quali si giunge all’anima. L’opera è variamente datata fra il 1691 (Pallucchini) e il 1695 (Derschau, Daniels), quando l’artista aveva, comunque, già esperito la collaborazione con Ferdinando Galli Bibiena nell’Oratorio del Serraglio (1685-1687) continuata nella realizzazione del sipario per il Teatro Farnese, così simbolicamente barocco, tanto da far pensare al quadro di Giovanni Battista Merano nella controfacciata della chiesa di San Giovanni, seppure in diversità di tema, e aveva già completato anche il complesso di dodici tele (1687-88) quante quelle di questa serie, con le Storie di papa Paolo III (Piacenza, Museo Civico).

L’idea di Ghidiglia Quintavalle che questa seconda serie sia stata dipinta durante gli anni romani e il soggiorno a Palazzo Farnese sembra da prendere in seria considerazione, anche perché fa riflettere su quanto scrisse il Mariette (IV, p. 393) “j’ai entendu dire… que lorqu’il fut venu à Rome et qu’il eut commencè à etudier d’après les fresques de Raphael, il souhaita de retourner promtement à Venise, disant que la manière de ce grand homme ètait capable de corrompre la sienne”. Il Ricci, infatti, sentiva che non avrebbe mai potuto competere con la purezza del disegno raffaellesco e che il suo colore denso e sfaccettato avrebbe trovato più consenso fuori dalla città papale presso le potenze europee e le altre capitali italiane. A Roma il Ricci preferisce riflettere sulle imprese di Annibale Carracci, Pietro da Cortona, Lanfranco, Baciccio, sul quel barocco iridescente e fantasioso, su quelle iperboliche apoteosi che soddisferanno le sue velleità di pittore incamminato sulle delizie del Rococò.

Bibliografia
Derschau 1922, p. 51;
Quintavalle A.O. 1948, pp. 125-126;
Pallucchini 1952, p. 65;
Daniels 1976a, p. 86;
Daniels 1976b, p. 92;
Ceschi Lavagetto 1979, p. 27;
Rizzi 1989, p. 52;
Fornari Schianchi 1993, pp. 71-75
Restauri
1989 (Zamboni e Melloni)
Mostre
Parma 1948;
Parma 1972
Lucia Fornari Schianchi, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.