Si ignora l’originaria ubicazione di questo dipinto, entrato in Galleria nel 1939 con la donazione da parte del signor Giuseppe Pagani di Calestano della propria Quadreria; registrato come opera di pittore parmense di fine ’500 prossimo al Tinti, venne a lui successivamente attribuito dalla Ghidiglia Quintavalle, che ritiene il quadro opera caratteristica del suo ultimo periodo, con suggestioni da Correggio, dai fiamminghi e dai Campi.

Alla sua tarda attività rimanda l’articolarsi della composizione, complesso ma affidato esclusivamente ai personaggi e ricondotto a un vicino primo piano con punto di vista piuttosto ribassato: ne consegue un buon effetto di chiarezza narrativa e coinvolgimento emotivo, accresciuto dalla gestualità accentuata di alcune figure. In tal senso è indubbia la suggestione del correggesco Compianto già in San Giovanni Evangelista a Parma, da cui Tinti sembra trarre l’atteggiamento abbandonato del Cristo come pure quello della Madonna che giunge a braccia spalancate, affine alla Maria Cleofa del dipinto Del Bono; simile è ancora l’uso di uno sfondo in ombra, di scarsa profondità e sommaria descrizione (in questo caso costituito da una parete rocciosa con albero), che concentra tutta l’attenzione sulla drammatica scena.

D’altro lato la figura della Vergine con le braccia aperte è ricorrente anche in opere di maestri cremonesi, Antonio Campi e il Malosso (Bandera Bistoletti 1989, p. 156), analogamente avvertiti della lezione correggesca e frequentemente attivi nel Parmense; tangenze con quest’ultimo pittore sarebbero del resto indirettamente comprovate dal fatto che un disegno della Galleria Nazionale raffigurante un Cenacolo è stato variamente attribuito ora al Tinti (Venturi 1934, pp. 818-819) ora al Malosso (Popham 1955, p. 75, n. 2; Di Giampaolo 1974b, pp. 18-35). Tipicamente manierista è nel dipinto l’eleganza delle mani allungate e il panneggiare franto, particolarmente riuscito nella figura di spalle colta in una posa di dinamica torsione alla Calvaert, e reso con un bell’effetto di giallo acido sfumato in rosa; non mancano però imprecisioni formali e un fare piuttosto abbozzato, nella prospettiva del sepolcro, in alcune teste o nel braccio di Cristo, come ingenua è la raffigurazione dei simboli della Passione e degli attributi del san Francesco posto alle spalle di Gesù (con le braccia e gli occhi rivolti al cielo, forse lontana memoria della nota Deposizione di Prospero Fontana a Bologna); la sua presenza potrebbe far ipotizzare una destinazione della tela ad ambiente francescano o cappuccino.

Scheda di Stefania Colla tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.