- Titolo: Deposizione di Cristo nel sepolcro
- Autore: Giovan Battista Tinti
- Data: Fine XVI secolo, inizi XVII secolo
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 85 x 69,2
- Provenienza: Calestano (Parma), collezione Giuseppe Pagani, 1939
- Inventario: 1452
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Dal Rinascimento al Barocco Ala Nord Alta
Si ignora l’originaria ubicazione di questo dipinto, entrato in Galleria nel 1939 con la donazione da parte del signor Giuseppe Pagani di Calestano della propria Quadreria; registrato come opera di pittore parmense di fine ’500 prossimo al Tinti, venne a lui successivamente attribuito dalla Ghidiglia Quintavalle, che ritiene il quadro opera caratteristica del suo ultimo periodo, con suggestioni da Correggio, dai fiamminghi e dai Campi.
Alla sua tarda attività rimanda l’articolarsi della composizione, complesso ma affidato esclusivamente ai personaggi e ricondotto a un vicino primo piano con punto di vista piuttosto ribassato: ne consegue un buon effetto di chiarezza narrativa e coinvolgimento emotivo, accresciuto dalla gestualità accentuata di alcune figure. In tal senso è indubbia la suggestione del correggesco Compianto già in San Giovanni Evangelista a Parma, da cui Tinti sembra trarre l’atteggiamento abbandonato del Cristo come pure quello della Madonna che giunge a braccia spalancate, affine alla Maria Cleofa del dipinto Del Bono; simile è ancora l’uso di uno sfondo in ombra, di scarsa profondità e sommaria descrizione (in questo caso costituito da una parete rocciosa con albero), che concentra tutta l’attenzione sulla drammatica scena.
D’altro lato la figura della Vergine con le braccia aperte è ricorrente anche in opere di maestri cremonesi, Antonio Campi e il Malosso (Bandera Bistoletti 1989, p. 156), analogamente avvertiti della lezione correggesca e frequentemente attivi nel Parmense; tangenze con quest’ultimo pittore sarebbero del resto indirettamente comprovate dal fatto che un disegno della Galleria Nazionale raffigurante un Cenacolo è stato variamente attribuito ora al Tinti (Venturi 1934, pp. 818-819) ora al Malosso (Popham 1955, p. 75, n. 2; Di Giampaolo 1974b, pp. 18-35). Tipicamente manierista è nel dipinto l’eleganza delle mani allungate e il panneggiare franto, particolarmente riuscito nella figura di spalle colta in una posa di dinamica torsione alla Calvaert, e reso con un bell’effetto di giallo acido sfumato in rosa; non mancano però imprecisioni formali e un fare piuttosto abbozzato, nella prospettiva del sepolcro, in alcune teste o nel braccio di Cristo, come ingenua è la raffigurazione dei simboli della Passione e degli attributi del san Francesco posto alle spalle di Gesù (con le braccia e gli occhi rivolti al cielo, forse lontana memoria della nota Deposizione di Prospero Fontana a Bologna); la sua presenza potrebbe far ipotizzare una destinazione della tela ad ambiente francescano o cappuccino.