- Titolo: Deposizione
- Autore: Giovan Battista Beinaschi
- Data:
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 47 x 41
- Provenienza: Parma, collezione Dalla Rosa-Prati, 1851
- Inventario: GN 689
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Fu acquistato dalla collezione Dalla Rosa-Prati nel 1851, comparendo al n. 60 dell’inventario d’acquisto, ovvero Descrizione dei quadri, come di autore incerto. Da Ricci nel 1896 l’opera fu poi assegnata ad Alessandro Tiarini ma, al riguardo, il confronto anche con le prime prove di questo protagonista della pittura bolognese risulta superato.
Il Quintavalle (1939) lo posticipava, conducendolo alla metà del ’600 e mantenendolo a un ambito specificamente bolognese. Il riferimento a Giovan Battista Beinaschi, che successivamente proponeva la Ghidiglia Quintavalle (1968b) – in ciò confortata da Roberto Longhi – è da considerarsi come il più pertinente anche se gli ulteriori ed esaurienti studi sulla figura del pittore piemontese non vedono ancora inserito questo dipinto entro il catalogo delle sue opere.
Il Beinaschi, a Roma, aveva iniziato il proprio aggiornamento artistico a partire dal 1652, e il suo apprendistato soprattutto grafico presso l’incisore Pietro Del Po, dal quale fu inserito entro l’ambiente della corrente del classicismo emiliano, lo portò ad avvicinare Giovanni Lanfranco quale aiuto frescante nei suoi grandi cantieri romani, poi napoletani. Sono vicende queste che possono trovare facilmente riscontro in taluni aspetti formali di questa Pietà: se i “cartocci”, così compressi nel panneggio, nelle loro linee spezzate derivano da quei tracciati zigzaganti che, mediati dai dipinti romani dell’ultimo Annibale, informano le figure incise da Pietro Del Po traducendoli in una quasi ossessiva ricercatezza e in un eccessivo compiacimento, al contrario la sveltezza di segno nell’anatomia del Cristo deposto deriva da una facilità di tratto che è la qualità più caratteristica del buon frescante.
Entro il percorso del Beinaschi chi scrive ritiene di poter collocare la piccola tela già nel periodo tardo dell’attività dell’artista, cioè nel secondo momento napoletano, quando questi venne chiamato a Napoli per completare la decorazione di Giovanni Lanfranco ai Santi Apostoli, dipingendovi la cupola (1680). L’affinità che lega il modo di costruire il panneggio in questa Deposizione con quello dipinto dal Lanfranco in taluni dei Profeti e Patriarchi ai Santi Apostoli è tale da non lasciare dubbi circa il tempo di esecuzione di questa piccola prova, anche se il De Dominici nella biografia del Beinaschi (1742-1745, III, pp. 534-539), riferiva di un viaggio giovanile proprio a Parma per studiarvi il Correggio. In questo pezzo si notano poi rimandi a Luca Giordano nelle scelte cromatiche e luministiche, come anche a Mattia Preti e al suo neovenezianismo, ravvisabile soprattutto nell’angelo che si china a baciare la mano del Cristo deposto. Talune suggestioni (la visione di un lontano da battaglista nel paesaggio e l’arricciarsi così tipico delle maniche al loro imbocco, come anche le dissonanze cromatiche fra blu, rossi e verdi, ricordano anche il pittore Carlo Rosa, pugliese ma comunque attivo a Napoli per la chiesa medesima dei Santi Apostoli dal 1640 circa al 1643.