Pochissime le notizie sull’autore del dipinto che nel 1790 vinse il primo premio al concorso della Real Accademia, seguito dall’opera di Antonio Corsi (inv. 810; cfr. scheda successiva) ed, ex aequo, dal parmigiano Biagio Martini, la cui tela risulta dispersa.

Vi fu in quell’anno una considerevole partecipazione di concorrenti, “ce fut l’âge d’or de l’Académie” (Hautecoeur 1910, p. 150) che inviarono opere da tutta Italia. Infine tra undici quadri la vittoria andò al “Sig. Tillerand Francese, Studente in Roma” (Pellegri 1988, p. 254) che è quasi tutto quello che sappiamo su questo raffinato artista, che si rivela educato ai modi di un elegante Neoclassicismo che “conferma l’altissimo livello a cui si muoveva omogeneamente il gruppo di studenti dell’Accademia di Francia a Roma” (Cirillo – Godi 1979d, p. 36) e si può confrontare almeno con le opere di Pierre Borel-Rogat, Alessandro cede Campaspe ad Apelle e Teti immerge Achille nello Stige, rispettivamente vincitrici del secondo premio nel 1787 e del primo nel 1788 (inv. 3 e 553; cfr. schede nn. 772 e 773).

Il dipinto rivela un occhio finemente addestrato sulle collezioni romane di antichità, per cui un giudizio troppo severo appare quello di Hautecoeur (1910) quando afferma: “on a devant elle le sentiment du déjà vu, il suffit de prèciser nos souvenirs pour dècouvrir les origins de chacun des personnages”.
È vero che è possibile rintracciare i palesi modelli antichi della composizione ma Tillerand li mescola in modo originale, con stile levigato e austero, secondo i dettami della Scuola davidiana. Inoltre la sua cultura si connota per più variegata di quanto possa risultare dalla palmare copia dall’antico, come parrebbe indicare, almeno nella morbida figura di Icaro, la conoscenza del gruppo scultoreo di identico soggetto, capolavoro della giovinezza veneziana (1778) del Canova (Venezia, Museo Correr) una patina generale che consente di definire la tela di Tillerand “bellissima opera, quasi canoviana” (Godi 1974, p. XXVII).

Del tutto tratta dal modello antico invece, la statua della Minerva, la famosa Athena Giustiniani acquistata dal marchese Vincenzo Giustiniani (Galleria Giustiniana, I, tav. 3) e ritenuta la statua di culto del tempio di Minerva eretto nel 62 a.C. in Campo Marzio. Nel 1805, quando ancora apparteneva al gruppo Giustiniani, la statua venne acquistata da Lucien Bonaparte e rivenduta nel 1817 al papa; oggi si trova ai Musei Vaticani.

Il gruppo di Dedalo e Icaro è invece una derivazione diretta da due bassorilievi ellenistici di Villa Albani. Hautecoeur aggiunge altri prototipi di riferimento per la figura di profilo di Dedalo, con un’ala in mano: il Dedalo in rosso antico riprodotto in Zoega, Bassirilievi antichi di Roma, I, p. 207 e, più indiretta fonte, una gemma di Firenze pubblicata da Gori, Museum Florentinum 1732, I, pl. XXXIX. Per Icaro i modelli vanno verso più mediati sguardi, tanto che “on s’attendrait à voir pendre de sa droit le canthare de quelque Bacchus”.

L’argomento proposto era esattamente “L’Atto, nel quale Dedalo accomoda al Figlio Icaro, ed assetta le ali” (Pellegri 1988, p. 252). Si tratta dunque della fase di preparazione alla fuga dal labirinto che Dedalo stesso aveva progettato e dove Minosse, re di Creta, lo aveva poi rinchiuso col figlio Icaro per aver favorito la fuga di Teseo dopo l’uccisione del Minotauro. Il rimando alle fonti dell’episodio – in primo luogo Ovidio, Metamorfosi, libroVIII – invita i giovani artisti che parteciperanno alla gara a sapervi trovare “molti lumi, onde ornare il Soggetto ad essi proposto con molti emblemi, e diverse invenzioni, di cui fa Dedalo inventore”.

Nel dipinto di Tillerand la costruzione risulta finemente orchestrata, in special modo se la si confronti con quella stringata e piuttosto banalizzante del secondo premio.

La composizione articolata sullo sfondo con una fuga di archi, l’inserimento della statua di Minerva, richiamo all’abilità ingegnosa di artefice di Dedalo, come del resto evoca la scritta che si intravvede sul piedistallo DEDAL EIIOI – Dedalo mi scolpì – sono elementi di un’invenzione non ingenua, completata dagli eleganti arredi, col bracere in primo piano e gli attrezzi dello scultore, mazzuolo e squadra ai suoi piedi, a sinistra. C’è infine un prezioso gioco di rimandi tra lo sfumato, che fa emergere la natura materica del colore pittorico, come si vede nella statua di Minerva e il richiamo alla scultura che si precisa nel nitore marmoreo della figura di Icaro.

Elementi tutti che fanno di Tillerand un artista pregevole, il cui percorso romano e italiano non è ad oggi rintracciabile se non nell’invio della tela parmense.

Il Bénézit registra due diversi personaggi: un Tillerand, senza nome, cui si ascrive la tela di Parma (cit., p. 649) e un Antoine Tisserand, che muore verso il 1805 e che fu attivo a Chambéry, come pittore di soggetti storici e mitologici. Un suo dipinto con Ulisse e Polifemo è conservato al Museo di Chambéry (cit., p. 672).

Ricci (1896) lo chiama Tisserand e da quel momento il suo nome si trova menzionato alternativamente, anche se nel testo del concorso è chiaramente definito “Sig. Tillerand Francese” (Pellegri 1988, cit.). Hautecoeur – che sembra non conoscere l’esistenza e probabile coincidenza di Antoine Tisserand col Tillerand – insiste sulla correttezza di quest’ultima denominazione, che è quella che figura nei registri dell’Accademia, richiamando l’attenzione su un possibile equivoco con altro pittore, Jean Tisserand, di Reims, la cui morte nel 1737 esclude del resto qualunque sovrapposizione.

Bibliografia
Archivio Accademia, cart. 1769-1801;
Atti…, vol. I, 1770-1793;
Pigorini 1887, p. 55;
Ricci 1896, p. 9;
Hautecoeur 1910, pp. 161-162, con ill. p. 161;
Thieme – Becker 1932, XXXIII, p. 171;
Allegri Tassoni 1952, p. 31, n. 31, f. 9;
Godi 1974, p. XXVII;
Allegri Tassoni 1979, p. 212, n. 421;
Cirillo – Godi 1979d, p. 36;
Pellegri 1988, p. 254;
Bénézit ed. 1999, vol. 13, pp. 649, 672
Restauri
1961-62;
1989 (Lab. Degli Angeli)
Mostre
Parma 1952;
Parma 1979
Anna Maria Ambrosini Massari, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.