- Titolo: Dedalo e Icaro
- Autore: Antonio Corsi
- Data: 1790 (II premio)
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 148 x 100
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: 810
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: L'Accademia
Il secondo premio del concorso di Pittura dell’anno 1790 fu assegnato a pari merito a due pittori: il romano Antonio Corsi e il parmense Biagio Martini, vincitore, l’anno successivo, del primo premio (cfr. scheda successiva).
Del perduto Dedalo e Icaro di Martini rimane un disegno preparatorio presso la Biblioteca Palatina di Parma (n. 3698). Antonio Corsi frequenta a Roma lo studio di Cristoforo Unterperger (1732-1798), in quegli Anni ottanta del ’700 che vedono l’affermazione internazionale del maestro di Cavalese, destinatario di prestigiosissime commissioni. Corsi ottiene la corona dell’Accademia di Parma dopo aver guadagnato, fra il 1784 e il 1787, numerosi riconoscimenti dalla prestigiosa Scuola del Nudo dell’Accademia di San Luca, e dopo aver vinto, alla pari con un altro artista, il terzo premio della prima classe del concorso Clementino della stessa Accademia nel 1789, dove presentava due composizioni di tema religioso (Sica 1989a, p. 25).
Corsi, che doveva essersi segnalato come un promettente artista in ascesa, inviò all’Accademia parmense una composizione pittorica di impianto molto semplificato, che si configura come una dichiarazione di poetica e di riferimenti estetici. La figura di Icaro riprende la posa del celebre Apollo del Belvedere, esaltato dagli scritti di Johann Joachim Winckelmann e Anton Raphaël Mengs quale espressione suprema di armonia e bellezza classica. Il pittore trasforma il suo prototipo, ne asciuga e ne alleggerisce le membra, e descrive un adolescente acerbo dall’espressione inconsapevole, la cui posa armonica e rilevata dalla luce è resa però con una certa rigidità. Contrastano con la figura levigata di Icaro la muscolatura forte e l’espressione severa del padre, la cui “ben dipinta testa” (Pellegri 1988, p. 255), richiama ancora modelli di statuaria antica. Anche il Dedalo risente però della stessa rigidità che caratterizza la figura del figlio, e che colloca i due personaggi lontani dalla vitalità e dalla scioltezza delle figure di Unterperger.
L’“ottimo accordo di colori” (Pellegri 1988, p. 255) fa perno sul rosso puro della veste, che amplifica la sensazione di energia trattenuta espressa dalla figura di Dedalo, e sul nudo delicato di Icaro. Non risulta facile per il pittore stabilire una relazione tra due figure così diverse. La loro derivazione da prototipi statuari gli impedisce forse di sentirle come figure umane, immerse in un ambiente, e comunicanti. Di fatto, i due personaggi del quadro sono giustapposti, e solo lo sguardo intenso del padre verso il figlio sembra romperne l’isolamento e stabilire un legame. Anche le piume delle ali, che pure il pittore descrive con abilità, la vegetazione e il cielo terso sono immersi nell’atmosfera rarefatta e immobile che accomuna il dipinto di Corsi alle tele mitologiche di Gaspare Landi, che il pittore poteva avere conosciuto a Roma. Gravano sui personaggi le pareti mute del labirinto, sfondo semplificato e significativo, che annuncia la pericolosa prova di Icaro, e nello stesso tempo apparta le figure, sottolineandone la vicinanza nel diverso grado di consapevolezza.
Il linguaggio essenziale ma ricco di citazioni dall’antico, e l’adesione un po’ acritica alla contemporanea estetica classicista è presente in tutta la produzione di Corsi, che riguardò in gran parte tele con soggetti tratti dalla storia antica e dal mito, esposte in una mostra in Campidoglio nel 1809 (Sica 1989a, p. 25). Dopo il 1797, il pittore si dedicò anche alla riproduzione di alcune tele che avevano lasciato l’Italia insieme alle truppe francesi, come la Comunione di san Gerolamo di Domenichino (Sica 1989a, p. 25). Dal 1812 il pittore collaborò alla decorazione del Bagno dell’Imperatrice, nel Palazzo del Quirinale (Sica 1989a, p. 25).