- Titolo: Davide
- Autore: Guido Reni (copia da)
- Data:
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 63 x 46,7
- Provenienza: ignota; già in Galleria nel 1861
- Inventario: GN 179
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Lo stato di conservazione è ora buono, grazie al restauro. Molto estese erano le ridipinture al di sotto della grossa vernice alterata. È stato provveduto alla foderatura della tela e alla sostituzione del telaio, non più in grado di svolgere la sua funzione.
La qualità degli stucchi in corrispondenza di antiche lacune e le diverse forme di ritocco pittorico hanno consentito di riconoscere tre diversi interventi di restauro succedutisi in un tempo piuttosto ampio. L’eliminazione delle ridipinture ha rivelato un testo alquanto compromesso per le numerose lacune localizzate soprattutto nella fascia alta e lungo i bordi. Una energica pulitura ha impoverito in passato la superficie pittorica, mettendo a nudo la cromia priva di velature, colpita da una luce cruda.
Il dipinto, acquisito come opera autografa di Guido Reni, è pervenuto all’Accademia di Belle Arti nel 1861 con un’ardita operazione. Non fu accolta la proposta di scambio con l’Adorazione dei pastori allora ritenuta di Girolamo da Carpi e quindi genericamente riferita a Scuola romagnola della metà del XVI secolo, in realtà di un allievo-collaboratore di Girolamo Siciolante da Sermoneta, opera esemplata sull’affresco della cappella di Valerio Cenci nella chiesa di San Tommaso in Cenci a Roma (Mazza, in Fornari Schianchi 1998a, pp. 39-41).
In suo luogo fu concesso un dipinto ancor più interessante, il Musico che suona la viola da gamba di Girolamo Mazzola Bedoli, una delle quattro portelle dell’organo del Duomo di Parma, ora facente di nuovo parte della Galleria Nazionale (inv. 1533, cfr. II volume, scheda n. 186) grazie all’acquisto sul mercato antiquario parigino sollecitato dalla Ghidiglia Quintavalle nel 1965 (Ghidiglia Quintavalle 1965a, p. 233; Di Giampaolo 1997, p. 135; Di Giampaolo 1998, p. 64). In quella operazione, a compensazione del supposto autografo reniano, fu aggiunto anche un lampadario di Murano.
Registrato per lungo tempo come un “Cupido”, nell’Inventario generale del 1874 si riportava però che “da alcuni” il soggetto era “creduto invece Davide nell’atto di scagliare la pietra verso il gigante”. L’attribuzione a Guido Reni non resse a lungo. Se Martini (1871, p. 53), riportandola, già sfumava gli entusiasmi osservando che “tutto quanto sarebbe degno del tenero Guido, se non vi si scorgesse la mano d’un restauratore”, Ricci (1896, pp. 93-94) passava il dipinto a Francesco Gessi, allievo-collaboratore di Guido Reni, e bollava lo scambio fra questo “scialbo e scipito Cupido” e la tela di Mazzola Bedoli come “un grave danno della Galleria”.
Il nome di Gessi è stato tramandato dalle successive guide con scarsa convinzione, come mostra la posizione interrogativa assunta da Quintavalle (1939, p. 293). In effetti – come è ora possibile affermare con il conforto degli esiti del restauro – la tela esula non solo dalla produzione di Reni, ma anche da quella dei più stretti collaboratori del maestro quali appunto Giovan Francesco Gessi, Giovan Giacomo Sementi, Giovanni Andrea Sirani e altri. La sua datazione è molto probabilmente posteriore all’età reniana e dovrebbe porsi nella seconda metà del ’600, se non agli inizi del secolo successivo.
Che il soggetto raffigurato sia il giovane Davide è verificabile sulla base del confronto con le redazioni che Guido Reni ha fornito dell’immagine dell’eroe biblico. Oltre al celebre prototipo del Museo del Louvre, opera giovanile, e agli altri esempi da questo dipendenti (Loire 1996, pp. 267-272), si ricorda il probabile modello di Guido dal quale deriverebbe il Davide a figura intera attribuito a Francesco Gessi che si trova nel John and Mable Ringling Museum of Art di Sarasota in Florida (Pepper 1988, p. 246 e fig. 35). Il nostro dipinto ripropone infatti, con qualche variazione, la testa e il busto di quel modello; una riduzione che lo stesso Reni sembra aver operato nel Davide del Kunsthistorisches Museum di Vienna collocato dalla critica nel 1619-20 circa (Pepper 1984, p. 239; 1988, pp. 245-246). Anche in questo caso tuttavia la corrispondenza non conduce a una totale coincidenza. Si vedano ad esempio il diverso andamento del drappo annodato sulla spalla del giovane eroe e la presentazione del busto entro un ovale.
Il numero elevato delle copie antiche di questa invenzione (si ricordano ad esempio il disegno delle collezioni reali inglesi, inv. 3403, e la tela della Galleria Pallavicini di Roma; cfr. Kurz 1955, p. 117; Zeri 1959, pp. 203-204), a volte ampliata fino a includere la mezza figura, sta a indicare il suo vasto apprezzamento negli ambienti collezionistici.