- Titolo: Danza femminile davanti al simulacro della Vittoria
- Autore: Benigno Bossi
- Data: 1767 circa
- Tecnica: Affresco staccato
- Dimensioni: 151 x 181
- Provenienza: Parma, Palazzo del Giardino
- Inventario: Inv. 2193
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Sala del Trionfo
Le quattro scene raffiguranti episodi del canto V dell’Eneide di Virgilio furono recuperate attorno al 1960 dal Palazzo del Giardino; decoravano, insieme ad altri cinque affreschi monocromi danneggiati durante i bombardamenti del 1944, un ambiente al primo piano nell’ala di sinistra, presumibilmente un’alcova o più verosimilmente una galleria.
I soggetti illustrano i giochi celebrati in Sicilia da Enea al suo secondo sbarco a Trapani in onore del padre Anchise, morto l’anno precedente, e oltre a queste quattro scene completavano la serie gli episodi ormai perduti raffiguranti Gara delle navi, Gara degli arcieri, Gioco del cerchio, Equilibrista, Ginnasta, di cui è rimasta testimonianza fotografica nella pubblicazione dedicata alla residenza ducale di Nestore Pelicelli (1930) che già assegnava a Benigno Bossi l’intero ciclo pittorico. A questo artista settecentesco, incisore, stuccatore ma anche pittore, anche successivamente gli storiografi hanno unanimemente mantenuto l’attribuzione, trovandovi caratteri stilistici affini al gusto e alle idee innovative apportate nel Palazzo dall’architetto Petitot. Quest’ultimo rinnovò l’edificio avvalendosi della collaborazione particolare del Bossi, che nel 1767 iniziò a decorare a stucco alcune sale, fra cui quella degli uccelli, nonché quella ora perduta con gli otto raffinati medaglioni con figure a soggetto mitologico (Fornari Schianchi 1991, pp. 180-182).
Una diversa attribuzione degli affreschi con i Giochi è stata successivamente proposta su basi documentarie che non sono state rese note, ma che immaginiamo attinte dall’archivio privato di Glauco Lombardi, da Cirillo (1992a), che ritiene debbano appartenere ad Alessandro Cocchi (Torino 1774-Parma 1838), impegnato nel 1819 ad “integrare il ciclo di finti arazzi di Benigno Bossi” per Maria Luigia che aveva promosso una nuovo ripristino della Reggia del Giardino. Quanto siano state rispettate le originali scene ideate dal Bossi e quanto sia invece frutto del ripristino del Cocchi, oggi è difficile riconoscerlo.
Del Cocchi del resto, d’origine torinese, pittore e scenografo, di cui a tutt’oggi si è scarsamente ricostruita l’attività artistica, si conosce ben poco; già scarne erano le notizie raccolte da Scarabelli Zunti (Documenti… fine del XIX secolo, vol. IX, ff. 101-104), che lo disse figlio di Lodovico e Cristina Pugnenghi.
A Parma fu allievo di Domenico Muzzi e frequentò regolarmente gli studi di disegno e figura all’Accademica (nel 1790 si aggiudicò due premi di Composizione e Disegno di nudo), nonché di Plastica, per la quale classe nel 1793 ricevette il premio per il bassorilievo raffigurante Incontro di Gesù con la Maddalena (terracotta, cm 70 x 63), tuttora conservato presso l’Accademia (Pellegri 1979, p. 87). La sua attività si svolse per lo più a Parma e agli inizi del XIX secolo divenne allievo dello scenografo bolognese Mauro Braccioli che si trovò a operare fra il 1798 e il 1803 per i teatri parmensi (Musiari 1986, p. 117, nota 366 p. 260). Nel 1805 si sposò con Maria Fratti e fu suo testimone alle nozze il quadraturista Giacomo Smith, amico e compagno di imprese teatrali, ma la sua attività pittorica e di ornato dovette essere parallela a quella di Pietro Piazza, se gli amici, pochi anni dopo la loro morte, avvenuta per il primo il 21 gennaio del 1838 e per il secondo il 28 febbraio del 1839, dedicarono loro un’unica iscrizione nel cimitero locale.
Il paesaggio a tempera di pura fantasia del Palazzo Sanvitale, che il Cocchi dovette dipingere nello stesso anno in cui avrebbe “integrato” i Giochi (Cirillo – Godi 1988, p. 55, fig. 24; Cirillo 1992a, p. XLI; Godi – Mingardi 1998, p. 10) non può essere una decorazione sufficiente per demolire la costante attribuzione che ha pienamente assegnato al Bossi gli affreschi, che, se pur frammentari e indeboliti nella materia pittorica dai danni provocati dalla distruzione della sala, mantengono nel loro impasto monocromo giallo/bruno gli stilemi di invenzioni tardosettecentesche, di raffinato gusto neoclassico, impregnate nelle forme sinuose dei corpi in movimento di elementi manieristi, assorbiti dal Bossi attraverso il costante e felice studio delle opere del Parmigianino, che ripropose e interpretò nella propria produzione grafica.
Bossi (per i dati biografici cfr. Moretti 1989a, pp. 636-637) si cimentò con grande abilità in più discipline artistiche, ma la qualità più alta è riscontrabile nell’attività incisoria e in quella plastica, tanto che Copertini nel 1945 parlando di questi affreschi li “trovò un po’ troppo ammanierati e comunque inferiori di molto agli stucchi”. Le altre sue opere pittoriche eseguite a olio, fra le quali le tele con l’Apparizione di san Domenico in Soriano e il Sant’Omobono eseguite per la chiesa di San Liborio a Colorno, se pur tecnicamente ben condotte, non possono essere messe a confronto essendo a soggetto sacro e di tutt’altra complessità figurativa.
È solo nella tradizione decorativa e illustrativa del ’700 illuminista e del nascente gusto neoclassico divulgato dal Callani che possiamo trovare riscontri per i Giochi, ed è plausibile che il Cocchi, in qualità di artista scenografo, abbia “integrato”, rendendo più rigidi certi gesti dei personaggi, un impianto prospettico preesistente, più confacente al Bossi per gusto e cultura figurativa; a conferma di questo si avvertono molte affinità con due stampe di anonimi artisti conservate nella Raccolta Ortalli della Biblioteca Palatina, derivate da episodi dell’Eneide (inv. 7077) e da Orazio (Ode III, lib. IV) (inv. 7092), nonché con soggetti mitologici realizzati ad acquaforte della ampia produzione dello stesso Bossi. Questa sensazione si avverte non tanto per le felici soluzioni dei fondali vegetali o architettonici correttamente impostati, ma nel lumeggiare con pennellate di biacca le figure per rendere più intenso il contrasto con le zone monocrome di ombre, ora purtroppo molto abrase.
Non avendo l’integrità dell’intero ciclo e considerando la frammentarietà di queste quattro scene, è comunque arduo comprendere quale sia stato l’apporto del Cocchi, se non quello di restauratore.