- Titolo: Cristo e santi portacroce
- Autore: Giovanni di Paolo
- Data: 1454-55 circa
- Tecnica: Tempera e oro su tavola
- Dimensioni: 28 x 200
- Provenienza: Parma, collezione Tacoli Canacci
- Inventario: GN423
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: La pittura toscana e in Italia centrale 1200-1500
Citata nell’Inventario del Tacoli Canacci con un’attribuzione a Simone Memmi (1790-1792), fino al 1821 la predella è ricordata fra le pitture presenti nel Palazzo Ducale di Colorno; fra il 1821 e il 1851 il dipinto viene una prima volta ceduto in deposito all’Accademia di Belle Arti dalla quale, dopo una nuova permanenza presso il Guardamobile ducale (1851), sarà definitivamente acquisito a partire dal 1865. Benché il Quintavalle la annoveri fra i dipinti acquistati dal Tacoli a Firenze nel 1787 (1939), non è certa la provenienza fiorentina dell’opera.
Il nome del senese Giovanni di Paolo, formulato allo scadere del secolo dal Ricci (1896), è stato ribadito e confermato dai contributi dei singoli studiosi che nel corso degli anni si sono occupati di questa tavola, riconoscendo in essa uno dei prodotti più altamente rappresentativi della fase matura dell’artista (Weigelt 1921; van Marle 1927; Perkins 1931; Weigelt 1931; Berenson 1932; Pope-Hennessy 1938; Quintavalle 1939a; Brandi 1941; Brandi 1947). Non c’è dubbio, infatti, che ci troviamo di fronte a una delle più genuine manifestazioni dello spirito inquieto e visionario dell’arte di Giovanni di Paolo in un momento in cui, abbandonati i preziosi rovelli e le eleganti astrazioni della più antica stagione tardogotica, nella sua pittura si verifica un lento ma progressivo allontanamento dalla maggiore solidità formale presente nelle opere del quinto e dei primissimi anni del sesto decennio del ’400. Nei cruciferi di Parma l’adozione di un trattamento chiaroscurale aspro e risentito si combina infatti a una grevità di segno che tende a esasperare, appesantendoli, i tratti fisionomici e le anatomie delle singole figure mentre una linea cruda e incisiva, che taglia di netto le ondulazioni e gli svolgimenti dei panni, denuncia il venir meno del primitivo interesse per una più organica ed essenziale strutturazione delle forme. La tavola può a ragione collocarsi in un periodo successivo all’esecuzione degli straordinari Episodi della vita del Battista (1453 circa), un ricordo dei quali, tuttavia, sembra ancora di poter scorgere alla base dell’intera composizione parmense: lungi dall’essere ridotte a sterile cifrario stilistico, l’espressività esasperata dei volti e le anatomie tormentate dei corpi appaiono infatti quale manifestazione esteriore della sofferenza che investe l’individuo nel momento in cui si attua nel singolo una consapevole identificazione con il doloroso esempio del Cristo. Elemento pregnante dell’arte esclusiva di Giovanni di Paolo, l’intensa partecipazione emotiva al significato del soggetto rappresentato denuncia la presenza di una personalità artistica ancora perfettamente consapevole nonché padrona delle proprie capacità espressive sulle quali, nulla concedendo alla ripetizione seriale o al gusto per la pura ed esteriore volontà deformante, il pittore esercita un rigoroso controllo formale: ogni particolare, dalla piega di una veste alle profonde rughe che solcano i volti dei santi, è indagato attraverso l’uso di una linea che mantiene pressoché inalterata la propria capacità di individuare ogni singolo elemento, assumendo nella composizione un ruolo pregnante ed essenziale.
Diversamente dal Pope-Hennessy (1938), che scorgeva in essi uno dei prodotti più tardi dell’arte del pittore, i cruciferi di Parma denunciano una chiara anteriorità cronologica rispetto al momento in cui – tra la fine del settimo e l’ottavo decennio del secolo – nella pittura di Giovanni di Paolo si verifica lo scadere dei modi in formule di esasperato gigantismo: già il Brandi, muovendo da un primo suggerimento del Weigelt (1931), proponeva infatti per il dipinto una più calzante datazione entro gli anni sessanta del ’400, ravvisando in quest’ultimo delle notevoli affinità di stile con la Madonna col Bambino e santi eseguita nel 1463 per uno degli altari del Duomo di Pienza (1941; Brandi 1947; Quintavalle 1948a; Ghidiglia Quintavalle 1966; Fornari Schianchi 1983). L’iconografia tutt’altro che usuale della composizione suggerisce per la predella la provenienza da un complesso di pertinenza agostiniana dal momento che, come faceva notare lo studioso senese a proposito dell’affresco di analogo soggetto presente nel portico dell’eremo agostiniano di Lecceto (1947), a una committenza specificatamente agostiniana rimandano pure esempi affini rintracciabili anche fuori dal territorio toscano, quali l’affresco quattrocentesco con Cristo fra due cortei di santi cruciferi nel convento agostiniano di San Salvatore a Bologna. Fra i dipinti ascritti a Giovanni di Paolo è dato rintracciare un’opera – firmata dal pittore – che per datazione (1454), agiografia e dimensioni ben si presterebbe ad essere identificata quale elemento sovrastante la predella parmense: si tratta di un polittico, ora al Metropolitan Museum di New York, rappresentante la Madonna e il Bambino fra i santi Monica (?) , Agostino, Giovanni Battista e Nicola da Tolentino per il quale già Zeri (1980) ipotizzava la provenienza da una chiesa o da un convento di canonici regolari; la larghezza complessiva dei cinque scomparti, superiore di circa 36 cm alle dimensioni del dipinto di Parma, giustifica tuttavia tale collegamento solo presupponendo l’esistenza di due ulteriori elementi posti a fiancheggiare entrambi i lati della predella.