Con questo quadro il giovane Barilli vinse nel 1862 il pensionato artistico regionale che gli consentì di soggiornare a Firenze dal 1863 al 1865, e di assumere così fertili conoscenze e soprattutto aperture verso istanze artistiche di più ampia e aggiornata cultura.

In Parma, il verbo imperante era ancora quello dello Scaramuzza, che in Accademia era stato insegnante di Pittura dello stesso Barilli, e che era andato formando stuoli di discepoli – come Scherer, come Affanni (cfr. Mecenatismo… 1974) – che nella lingua purista sarebbero poi rimasti imbrigliati per sempre, anche se sotto mentite spoglie. Non che al solo Scaramuzza siano da accollare onori e oneri di ciò che si andava facendo in Parma, città (in questo molto diversa dalla vicina Piacenza; cfr. Pinto 1982b; Frattarolo 1984) che verso il dettato purista era stata incoraggiata anche da una munifica committenza ducale, la stessa che aveva richiesto proprio a Scaramuzza gli affreschi in Selvapiana dedicati a Petrarca e quelli nella Biblioteca Palatina, opere dagli echi assai lusingheri per il loro autore. Barilli, quindi, volendo profittare del decreto borbonico che dal 1856 consentiva all’Accademia di mandare in viaggio per studio gli allievi meritevoli, dipinse questo Matteo seduto al banco della gabella per la riscossione delle tasse, questo Gesù la cui presenza per il gabelliere è folgorante. Un quadro dalla grafia levigata e compatta, come era uso accademico dei più consolidati, e dall’impostazione scenografica e “statuina”, come dicevano a Piacenza i seguaci del “vero”, i denigratori di quei repertori di immagini che ancora vagavano, stanche e attardate, nelle paludate scenografie di memoria neoclassica.

Bibliografia
Barocelli 1997c, pp. 29 e 249;
Carnerini – Peracchia 1997, p. 253 (con bibl. prec.);
Lasagni 1999, vol. I, p. 293
Restauri
1997 (I. Agostinelli, Lab. Sopr.)
Mostre
Parma 1997-98
Eleonora Frattarolo, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000