- Titolo: Cortile di Casa Villa a Parma
- Autore: Camillo Scaramuzza
- Data: 1869
- Tecnica: Olio su tavola
- Dimensioni: 54 x 44
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti; vinto dal Ministero della Pubblica Istruzione alla Società di Incoraggiamento nel 1869
- Inventario: Inv. 677
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Camillo era nipote di Francesco Scaramuzza e fu probabilmente indirizzato da lui, allora professore di Pittura, a frequentare la Scuola di paesaggio dell’Accademia, dove è registrato dal 1857. Cominciò a esporre le sue opere, vedute urbane e paesaggi, per la Società di Incoraggiamento, istituzione fondata nel 1852 con la finalità di fornire lavoro e sovvenzioni agli artisti in difficoltà, poiché dopo la morte di Maria Luigia era notevolmente diminuita la promozione pubblica. Nonostante la parentela con Francesco, che pure si trovò più volte in precarie condizioni economiche, Camillo usufruì dei sussidi governativi almeno sino al 1879, quando come sembra acquisì un’autonomia che gli permise di ampliare il suo orizzonte con nuovi scenari, aggiungendo al suo catalogo di vedute nostrane Courmayeur vista dalle Alpi. Ma di queste trasferte non si conoscono che pochi reportages e l’opera in esame dunque ben rappresenta la produzione dell’autore e il predominante impegno sul territorio d’origine.
Le sue vedute sono testimonianze talvolta uniche di un ambiente urbano e paesistico che oggi si stenta a riconoscere. Il palazzo qui rappresentato, tuttora esistente in via Ospizi Civili, apparteneva dalla metà dell’800 alla famiglia Villa, dopo essere stato sontuosa dimora, in stile tardobarocco farnesiano, dei conti Liberati, casata di poeti arcadi (Gambara – Pellegri – De Grazia 1971, p. 581).
Il pittore inquadra la piccola corte voltando le spalle all’ingresso principale, posizionandosi ad angolo per ottenere una visione più ampia. Mette così in evidenza la soluzione scenografica dei finti archi con doppi pilastri, che rispecchiano quelli del portico d’accesso allo scalone e accordano i due androni opposti: brillante soluzione, insieme alle eleganti cornici delle finestre, per dare respiro e decoro a uno spazio ristretto. Particolarmente felice dunque è la scelta di questa corte segreta, perforata dalle ombre nette delle finestre e dell’androne, resa nel contrasto fra lo splendore di un passato nobile e il tono dimesso di una vita popolare, indugiando sui segni di una decadenza che accresce la suggestione del luogo. La luce spiovente cade sulle figure concentrando l’attenzione sulla scena che si apre ad angolo verso l’osservatore. Illumina in quell’istante una porzione di selciato dove avanza una donna portando un secchio d’acqua e bilanciandosi con l’altro braccio, come in Case di Borgo delle Grazie (Palazzo del Comune) che presenta la stessa struttura compositiva e dove compare anche lo stesso personaggio maschile, qui appoggiato al pilastro, intento a contare le monete sul palmo della mano, forse la paga del giorno per il lavoro di carrettiere al mercato della vicina piazza Grande, mentre un bambino ispeziona il fondo di una cesta, vicina a un’altra colma di frutta. Sembra una famiglia che in un giorno d’estate sta per andare a pranzo, poiché il sole è quasi a mezzogiorno. Un frammento di realtà reso con esattezza meteorologica mediante l’uso sapiente della luce che serpeggia ovunque, distribuita a piccoli tocchi azzurrini, come il colore dell’intonaco che si specchia sul selciato ancora bagnato di pioggia. L’opera, presentata all’Esposizione d’opere d’arti belle inaugurata dall’Incoraggiamento il 4 dicembre 1869, fu scelta e acquisita dal Ministero d’Istruzione pubblica del Regno d’Italia. Il tema dell’aristocrazia decaduta, suggerito dal dipinto, era in quegli anni molto in voga, forse per una sorta di rimpianto del vecchio mondo ducale: al Teatro Regio in quel mese di dicembre il pubblico palpitava per la sorte del protagonista, nobile ridotto in miseria, del Romanzo di un giovane povero.