- Titolo: Corte di fortezza
- Autore: Mauro Braccioli
- Data:
- Tecnica: Tempera su carta
- Dimensioni: 63 x 81
- Provenienza: ignota
- Inventario: Inv. 471
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Si ignora la provenienza di questo bozzetto. La Guida del Martini (1875, p. 41) lo registra in Pinacoteca e dall’Inventario generale (c. 124) vi risulta conservato da un periodo antecedente il 1875.
Gli inventari della Galleria non forniscono però alcuna informazione circa la provenienza di questo e degli altri due bozzetti del Braccioli (cfr. schede nn. 829 e 830) entrati in Pinacoteca in epoca imprecisata (Pigorini 1887, p. 45; Ricci 1896, p. 359; Quintavalle 1939, p. 300).
Scenografo e pittore di prospettiva, Mauro Braccioli fu avviato agli artifici prospettici da G. Battista Alberoni, discepolo a Bologna di Ferdinando Galli Bibiena nonché continuatore di quella gloriosa tradizione che Ferdinando e il fratello Francesco diffusero nell’Europa delle Corti. La formazione di questo interessante artista, che meriterebbe più ampi approfondimenti e sul quale mi riservo di tornare più ampiamente, si completò nella città felsinea, ove studiò architettura e prospettiva con Vincenzo Mazzi, per perfezionarsi poi con Domenico Zanotti (Arisi 1971, p. 633).
Vincitore di premi all’Accademia Clementina (1777 e 1779), fu ampiamente attivo in qualità di scenografo per i teatri Zagnoni e Comunale a Bologna, a Ferrara, a Parma, ove sono documentate sue scenografie per il teatro di Corte (1799), a Reggio Emilia (1800, 1801) e al Teatro Municipale di Piacenza (dal 1804). Della sua vasta produzione restano circa 200 bozzetti (Bologna, Accademia di Belle Arti; Firenze, Uffizi; Milano, Museo Teatrale alla Scala e Raccolta Bertarelli), oltre 500 dipinti a olio e a tempera, e numerosissimi acquarelli e stampe (cfr. Mancini 1980). Resta invece ancora da indagare la sua ampia attività di decoratore a Piacenza, all’interno delle numerose residenze che la locale aristocrazia andava rinnovando, sul volgere del ’700, promuovendone l’aggiornamento dell’apparato ornamentale.
Il catalogo della quadreria Roumegous in Parma (1804; ms. 118) registra due quadri su tela del Braccioli, raffiguranti rispettivamente un interno di fonderia di cannoni con portico annesso, e una “fabrica rusticale”, con capanna e vari strumenti di agricoltura.
La tempera in esame, bozzetto di scena, presenta una monumentale struttura architettonica ad archi ogivali di ordine dorico che accoglie la scena di storia antica, con due soldati in primo piano a sinistra. Probabilmente questo era uno dei soggetti preferiti, esempio felice di quella intelligenza di stile ed eleganza di gusto che con disinvolta perizia l’artista sfoggia nell’uso sapiente dei tagli di luce e di ombre proiettate. Un uso luministico affine, accentuato dalla resa grafica dei massivi elementi architettonici, è riscontrabile nella Prigione (cfr. scheda successiva). Questo bozzetto denuncia la sensibilità teatrale dell’artista, da cui derivò una tecnica pittorica informata a tinte forti con contrasti di toni. Anche in Corte di fortezza, come nella Prigione, Braccioli fa uso di violenti tagli di luce che evidenziano la soda consistenza degli archi a sesto acuto e della struttura architettonica all’interno della quale articola in profondità diversi ambienti e una teoria di scale che conducono alle cortine.
Nella fantasia di Braccioli rivive l’architettura di Roma antica, che il bolognese scenografo ripropone a connotare questo e gli altri due bozzetti di scena (cfr. schede nn. 829, 830), colte testimonianze del gusto antiquario settecentesco cui non sono estranee reminiscenze piranesiane. Al gigantismo monumentale delle architetture di Piranesi, da cui scaturì quella koiné di sollecitazioni espressive che senza affievolirsi si protrassero nel primo decennio dell’800, ma anche alla resa dei volumi architettonici delle Carceri, qui risolti tuttavia con un plasticismo di matrice bibienesca, rimanda la Corte di fortezza. Chiaro il modo di comporre dello scenografo bolognese: la vasta Corte di fortezza non cede per grandiosità alle invenzioni di Piranesi, ma non cede neppure l’impostazione bibienesca per angolo, mutuata assai verosimilmente dal Mazzi. Al Mazzi si deve infatti un importante repertorio, Caprici di scene tea(trali), una raccolta in folio di 13 incisioni non numerate, alcune datate (1771), altre solo firmate, ristampato nel 1776 con l’aggiunta di quattro tavole. Una raccolta ad uso degli studenti e degli scenografi, sulla quale si esercitarono anche il Basoli e il Palagi, e che il Braccioli dovette conoscere stante la vicinanza di impostazione di questa sua Corte di fortezza con alcune tavole del Mazzi.
Nelle scenografie del Braccioli si registra una diversificazione di interesse neppure troppo ampia verso i dati archeologici, sicché non si può parlare di scelta di stampo specialistico, quanto piuttosto di una metodologia operativa e di un gusto che lo orientano verso circostanziate tipologie edilizie all’interno delle quali impalca ardite “vedute per angolo”. Echi delle geniali invenzioni bibienesche trasposte da Ferdinando con esiti di ineguagliata qualità dalla scenografia alla quadratura, aggallano nell’attenzione che il Braccioli riservò alla “veduta per angolo”, da lui adottata per attualizzare e amalgamare nel nuovo contesto di scena il dato archeologico, costituito da citazioni ora desunte da immagini mentali, ora da progressive sedimentazioni di dati reali.
Dotato di spiccata sensibilità pittorica, in possesso di una tecnica che sfoggia con indiscussa padronanza, sicura nella resa luministica e chiaroscurale, Braccioli si caratterizza per un sodo plasticismo nella resa dei volumi e per un insistito monumentalismo che denunciano un gusto scenografico di ascendenza bibienesca. Gli archi ogivali e le coppie di colonne binate, sapientemente orchestrate a formare un “per angolo” di memoria bibienesca, evocano le invenzioni di Juvarra rispetto alle quali tuttavia quelle dello scenografo bolognese offrono una diversa resa luministica. Certi suoi effetti chiaroscurali preannunciano – secondo il Mancini – soluzioni romantiche (1980, pp. 15,16).